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I pro e i contro del salario minimo. Ma per Walter Galbusera, ex-dirigente Uil, la contrattazione collettiva dà migliori garanzie al lavoratore

LUNEDÌ 29 MARZO 2021 | Lascia un commento
Foto I pro e i contro del salario minimo. Ma per Walter Galbusera, ex-dirigente Uil, la contrattazione collettiva dà migliori garanzie al lavoratore
Scritto da Gabriel Bertinetto

Solo 6 degli Stati membri dell’Unione Europea sono privi di una legislazione o di meccanismi contrattuali che impongano di rispettare un salario minimo orario. Uno fra questi è l’Italia. Sull’opportunità di introdurre il salario minimo nel nostro Paese abbiamo interpellato Walter Galbusera, presidente della Fondazione di studi milanese “Anna Kuliscioff”. Galbusera conosce bene il mondo del lavoro, essendo stato in passato segretario del sindacato UIL-Lombardia.

 

Il tema del salario minimo è tornato d’attualità negli ultimi tempi, grazie ai disegni di legge presentati alle Camere da alcuni partiti politici. Più recentemente una Direttiva della Commissione Ue, recepita dal Parlamento di Strasburgo, ha invitato i singoli Paesi che ancora ne sono privi (6 su 27, Italia compresa) a dotarsi di una legislazione in materia. Lei, dr Galbusera, è favorevole?

Difficile rispondere con un sì o un no netti. In primo luogo è bene precisare che il documento Ue lascia aperta la porta ad introdurre il minimo salariale sia per via legislativa sia per via contrattuale. A mio giudizio la soluzione migliore per garantire un’adeguata protezione dei livelli più bassi di retribuzione è quella di agganciarla ai contratti sindacali collettivi. Il motivo è che sarebbe piuttosto complicato stabilire una paga minima oraria che sia valida ed efficace su tutto il territorio nazionale. Il nostro Paese è ancora caratterizzato da forti differenze nei livelli di sviluppo e di ricchezza fra questa o quella zona. Se noi fissiamo un salario minimo di 9 o 10 euro all’ora (questi sono le cifre di cui in genere si parla), ci allineiamo alla situazione di realtà del Nord Italia in cui questi valori sono realistici. Così facendo però tagliamo fuori ampie aree del Sud, dove già adesso accade che il lavoratore speso sia costretto a restituire sotto banco una parte del salario ricevuto e indicato nella busta paga.

 

Stiamo però parlando in questo caso di pratiche illegali, simili a un’estorsione.

Certo, sono cose assolutamente fuorilegge, ma accadono. Quello che voglio dire è che se a Milano l’idea che una domestica o una badante sia retribuita a 9 o 10 euro l’ora rientra nella normalità, non è altrettanto scontato che lo sia in Calabria. Purtroppo si tratta di meccanismi che sfuggono ai controlli. Un’alternativa potrebbe essere quella di stabilire minimi salariali diversi a seconda delle regioni, determinandoli in basi ai rispettivi livelli del costo della vita. Ma ciò richiederebbe una elaborazione analitica non semplice e potrebbe risultare complicato gestirla. Per difendere i livelli retributivi più bassi forse è meglio affidarsi ai contratti collettivi di lavoro anziché al salario minimo, il quale presenterebbe lati deboli sia se avesse valenza nazionale, sia se fosse declinato su scala territoriale.

 

Può spiegare meglio?

I contratti collettivi nazionali, attraverso il negoziato fra le parti, stabiliscono anche le soglie minime di retribuzione, ma lo fanno non in rapporto a criteri geografici, nazionali o regionali che siano, come accadrebbe con il metodo del salario minimo, bensì in base al settore produttivo. In Italia abbiamo circa 1500 contratti collettivi di categoria. E’ vero che alcuni sono puri escamotage per dare copertura para-legale a retribuzioni molto basse. Mi riferisco ai cosiddetti “contratti pirata”, che interessano però una platea piuttosto ridotta di lavoratori rispetto alla stragrande maggioranza che sono assunti secondo norme contrattuali concordate da associazioni imprenditoriali e sindacali rappresentate nel CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). A fronte di decine di migliaia i cui rapporti di lavoro sono disciplinati da accordi sospetti, abbiamo milioni provvisti di contratto regolare. 

 

Insomma meglio tutelare i lavoratori attraverso i contratti di categoria piuttosto che con l’ombrello di un salario minimo orario?

Direi che il primo sistema è probabilmente più efficace. Ciò non toglie che si possa elaborare qualche meccanismo legislativo imperniato sul salario minimo. Ma sarebbe assai complicato modularlo in maniera da evitare i problemi di cui parlavo prima. Una soglia minima troppo alta rischierebbe di tradursi in un’involontaria spinta verso la retribuzione in nero almeno in alcune parti del Paese. Si potrebbe allora ripiegare su un valore più basso, che ne so, 7 € anziché 9 o 10. In tal caso però, sarebbe una tutela di scarsa utilità nelle aree in cui la paga minima può tranquillamente essere più alta. Occorre essere pragmatici e porsi di fronte al problema senza schermi ideologici. Per riassumere il mio punto di vista, potrei dire che non ho nulla in contrario rispetto all’adozione di un salario minimo stabilito per legge, ma non c’è da attendersi grandi risultati. Si possono tutelare meglio i lavoratori attraverso i contratti collettivi.

Leggi a tutela del salario minimo orario, secondo alcuni analisti, sono importanti soprattutto nei Paesi in cui i sindacati contano poco. Che ne pensa?

Vero. Negli Usa ad esempio, dove le Trade Unions sono storicamente deboli, il salario minimo esiste ed è importante. Ecco, a questo proposito, avendo in passato lavorato negli Stati Uniti, ho constatato di persona come il “minimum wage” sia scandito su base territoriale, Stato per Stato. 

 

Dei 5 Paesi europei che oltre all’Italia non hanno leggi sul salario minimo, tre sono caratterizzati da uno stato sociale piuttosto solido: Danimarca, Svezia, Finlandia.

E’ abbastanza logico. Laddove esiste un welfare che funziona bene, una legge sul salario minimo interessa poco, perché non ne beneficerebbe un numero significativo di persone. In quei Paesi i sindacati hanno un peso, i livelli retributivi sono certi, le regole vengono rispettate. La salvaguardia di un salario minimo legale diventa superflua.

 

I fautori del salario minimo in Italia sostengono che servirebbe a dare più concreta attuazione all’articolo 36 della Costituzione sul diritto ad un equo compenso. Che ne pensa?

Ripeto. Può servire, ma ritengo che lo strumento migliore resti quello della contrattazione collettiva. A proposito di Costituzione, vorrei aggiungere che esiste anche l’art. 39, che fu concepito per garantire la libertà sindacale e sottrarre le organizzazioni dei lavoratori al rigido controllo statale del periodo fascista. Ora è vero che parti di quell’articolo non sono mai state applicate (la registrazione dei sindacati ad esempio) ma è anche vero che altre fanno riferimento ad una realtà superata dai fatti. Ad esempio si prescrive che la stipula dei contratti avvenga con il voto degli iscritti, mentre la prassi è quella che a pronunciarsi siano tutti i lavoratori e non solo i membri dei sindacati. Il punto comunque su cui voglio soffermarmi non è l’opportunità o meno di aggiornare l’art. 39, ma il fatto che i rapporti di lavoro, e all’interno di ciò la tutela dei meno pagati, si regge su un sistema in cui da una parte vige il principio costituzionale della libertà sindacale, dall’altro il reciproco riconoscimento fra le rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori. Questo meccanismo genera una molteplicità di contratti di categoria ed anche aziendali, che rende forse superfluo fissare un livello minimo per legge, tanto più quando con la contrattazione integrativa si possa andare anche oltre quella soglia.



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