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Riforme, ripresa, lavoro. Draghi all’opera per superare la crisi “Covid”: le previsioni del sociologo Ricolfi

LUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2021 | Lascia un commento
Foto Riforme, ripresa, lavoro.  Draghi all’opera per superare  la crisi “Covid”: le previsioni del sociologo Ricolfi
Scritto da Gabriel Bertinetto

Secondo il sociologo Luca Ricolfi la ripresa produttiva e occupazionale in Italia potrà essere favorita dall’uso dei fondi europei, a condizione che vengano attuate riforme importanti in molti campi, compreso il mercato del lavoro. Importante per un migliore funzionamento dei cosiddetti ammortizzatori sociali, l’unificazione di tutti i sussidi, compresi quelli comunali e regionali. Il prof. Ricolfi insegna Psicometria e Analisi dei Dati all’Università di Torino, ed è presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume.


 

Al Recovery Plan è legata buona parte delle speranze di ripresa in Europa e in Italia, mentre la pandemia fa ancora sentire i suoi perniciosi effetti economici e sociali oltre che sanitari. Come pensa, prof. Ricolfi, che il governo Draghi saprà cogliere questa opportunità? Quali sarebbero a suo giudizio le scelte da fare?

Penso che Draghi stenderà un piano accettabile per l’Europa. Le scelte principali da fare, a mio parere, non riguardano i settori in cui investire (sanità, scuola, ambiente, ecc.) ma le riforme della giustizia civile, della burocrazia, del fisco e del mercato del lavoro. Senza queste riforme gli investimenti pubblici non basteranno a far ripartire la crescita. 

Un aspetto drammatico della crisi economica complessiva in era Covid è quello occupazionale. Quali possono essere le politiche attive per il lavoro adeguate alle circostanze?

Dopo 3 anni di assistenzialismo – dal reddito di cittadinanza a quota 100, dai ristori ai sussidi e bonus di ogni specie erogati fin qui – l’unica strada per far ripartire l’economia è permettere la ricostituzione dei margini di profitto degli operatori privati. Il ché significa: che la Pubblica amministrazione paghi i suoi debiti; imposta societaria a livelli irlandesi (12.5%); disboscamento degli adempimenti e dei percorsi autorizzativi che soffocano l’attività di impresa. 


Blocco dei licenziamenti, massiccio ricorso alla Cassa Integrazione, sussidi alle imprese in difficoltà sono provvedimenti tampone che non possono durare e funzionare in eterno. Vanno abbandonati o rimodellati? E come?

Vanno abbandonati, con la dovuta gradualità. E’ difficile distinguere fra imprese sane e imprese irrimediabilmente malate, ma le imprese decotte andrebbero lasciate al proprio destino. Il vero problema è che, per dire che un’impresa è decotta, dovresti prima eliminare l’oppressione fiscale e burocratica che tutte subiscono, e che in molti casi è la vera ragione per cui un’impresa rischia di chiudere.

Insomma la mia idea è semplice: prima ricreare le condizioni del fare impresa, e poi lasciar chiudere chi dimostra di non farcela nemmeno con un fisco e una burocrazia alleggeriti.

Ovviamente nemmeno Draghi avrà il coraggio di tentare questa via, ma a mio parere non ce ne sono altre se si vuole tornare a crescere a un ritmo (almeno il 2%) che non ci faccia ripiombare in una nuova crisi finanziaria.


Le misure di tipo assistenziale distraggono risorse dagli investimenti produttivi. E tuttavia servono anche ad evitare l’esplosione di tensioni sociali pericolose. In che modo secondo lei queste due tendenze si manifestano nella concreta specificità della presente emergenza pandemica? In che modo bisognerebbe farvi fronte?

Un reddito minimo, abbastanza basso da non scoraggiare la ricerca di un lavoro, è più che giustificato e necessario. L’essenziale è che vi sia un sistema di controlli che renda molto rischioso abusare del reddito minimo con false dichiarazioni o trasferendosi all’estero, come attualmente accade.


La gravità della crisi attuale può essere l’occasione per una riforma degli ammortizzatori sociali. Che tipo di riforma?

La riforma fondamentale è unificare tutti i sussidi (compresi quelli comunali e regionali), e costringere i servizi sociali a seguire passo passo ogni singolo percettore, distinguendo fra chi può lavorare (magari dopo un corso di formazione) e chi no.

 

Nel discorso al Senato prima del voto di fiducia Draghi ha accennato alla necessità di potenziare i Centri per l’Impiego ed il welfare, ma anche alla necessità di scegliere quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento per evitare di finanziare aziende “zombie”. Come valuta queste intenzioni?

Sono ottime, ma già nel discorso di replica in Senato se le è dovute rimangiare, quando ha detto che “impediremo che le imprese del turismo falliscano”. 


Da qualche anno si parla di introdurre in Italia il salario minimo, già presente nella legislazione di 21 su 27 Paesi Ue. E’ una iniziativa utile?

Sì, se ben congegnato. Il problema sono gli abusi, e il rischio di disincentivare la ricerca di un lavoro. Ma bisogna essere consapevoli che disegnare un sistema virtuoso (efficiente ed equo) è difficilissimo, e finora nessun paese europeo ci è riuscito pienamente. 

 

Green Economy e Digitalizzazione sono fra le principali linee guida programmatiche nei piani di sviluppo europei. In che modo l’Italia può farle proprie nella particolare situazione del nostro Paese? Quali effetti può avere una simile trasformazione sul piano occupazionale, nel breve e nel lungo termine?

Io temo che green economy e digitalizzazione finiranno per essere più degli slogan, ad uso e consumo dei partiti politici e delle lobby, che dei progetti seri, volano di crescita e di occupazione. 

E le faccio un esempio: la digitalizzazione è già molto diffusa in centinaia di ambiti, ma quasi sempre i sistemi di interazione fra utente e sistemi sono ridondanti, farraginosi, inutilmente differenziati fra territori e istituzioni, inadatti alla popolazione anziana, poco orientati all’utente, in una parola mal disegnati. La digitalizzazione mal progettata, come quella che rende la vita impossibile in università e ospedali, è un fattore di inefficienza, non di modernizzazione.

Per me digitalizzare va benissimo ma, per dirla con Draghi, esiste una digitalizzazione buona (quella che ti semplifica la vita e il lavoro) e una digitalizzazione cattiva (quella vita e lavoro te li complica inutilmente). Io temo che a prevalere, anche in futuro, sarà la digitalizzazione cattiva, che è concepita dal punto di vista del “sistema”, anziché di chi con il sistema deve interagire.



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