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Il boom dell’intelligenza artificiale: toglie lavoro o lo crea? Le previsioni degli esperti

LUNEDÌ 04 SETTEMBRE 2023 | Lascia un commento
Foto Il boom dell’intelligenza artificiale: toglie lavoro o lo crea? Le previsioni degli esperti
Scritto da Gabriel Bertinetto

Come spesso accade, ad accendere l’interesse del pubblico sull’intelligenza artificiale è stato un no, e precisamente quello opposto dal Garante della Privacy all’utilizzo di ChatGPT, un software che genera testi a richiesta dell’utente: relazioni per una riunione aziendale, lezioni universitarie, articoli giornalistici, etc. Il garante ha poi ritirato il divieto dopo avere ottenuto da “Open AI”, l’azienda produttrice, una serie di assicurazioni sulla tutela dei dati personali degli utenti. La questione tuttavia rimane aperta, ed anche in altri Paesi è oggetto di contenziosi fra l’azienda e le autorità pubbliche. Negli Stati Uniti ad esempio ne è espressamente proibito l’uso, per motivi facilmente comprensibili, nelle scuole e nelle università.

Se la vicenda del “chatbot” ChatGPT mette in rilievo i problemi etici che comporta il diffondersi dell’automazione (nel caso specifico legati all’identità e alla responsabilità individuali) non meno inquietanti sono i rischi per la sicurezza insiti nella sostituzione della macchina all’uomo, quando la macchina è dotata di capacità di elaborazione teorica e iniziativa pratica di tipo inventivo. I film di fantascienza ci hanno rappresentato scenari catastrofici di robot in rivolta contro i loro padroni, che non è qui il caso di discutere quanto siano lontani o vicini alla realtà potenziale del futuro. Basta ricordare le parole pronunciate dal famoso cosmologo Stephen Hawking  non molti anni fa: “La creazione dell’Intelligenza artificiale potrebbe essere la più grande conquista dell’umanità. Purtroppo potrebbe essere anche l’ultima”.

Accantonando gli aspetti morali, civili, politici, legali, filosofici che comporta la diffusione dell’A.I. (Artificial Intelligence), concentriamoci sulla dimensione strettamente economica. L’A.I. sarà fonte di massiccia disoccupazione? Oppure genererà nuove figure professionali al posto di quelle che diventeranno obsolete? In soldoni: toglie lavoro o lo crea? Le risposte non sono univoche. I ricercatori propendono per l’una o l’altra tesi a seconda delle realtà esaminate, degli ambiti produttivi, dei campioni interpellati. Inoltre, trattandosi di fenomeni relativamente nuovi, è difficile proiettare verso l’avvenire i dati parziali e disparati che si colgono nell’osservare il presente. 

Uno degli ultimi giudizi in materia appartiene a Confartigianato e non trasuda ottimismo. In Italia sarebbero a rischio quasi otto milioni e mezzo di posti di lavoro. Lo studio non afferma che un numero talmente alto di persone debba necessariamente cadere vittima della disoccupazione, ma ipotizza che le enormi trasformazioni tecnologiche introdotte dall’automazione abbiano su quei tantissimi individui un impatto rilevante. Si parla di “lavoratori in bilico”, ed è significativo che questa condizione si prospetti con percentuali drammaticamente più alte nei Paesi con maggiore esposizione allo sviluppo tecnico-scientifico. Al vertice della classifica sta il piccolo Lussemburgo dove sarebbe in potenziale precario equilibrio occupazionale più del 59% della forza lavoro. Seguono Belgio e Svezia entrambe con il 48%. Dei Paesi con i quali siamo soliti confrontarci perché li consideriamo modelli ai quali ispirare le nostre strategie di sviluppo, la Germania sta al 43%, la Francia sopra il 41%. Noi con quegli otto milioni e mezzo di cui dicevamo prima, ci collochiamo intorno al 36%. Anche all’interno della realtà italiana, sono maggiormente esposte le regioni con un’economia più evoluta e dinamica, a partire da Lombardia, Lazio e Piemonte, benché desti curiosità vedere che al quarto posto la Campania precede Emilia e Liguria. 

Marco Granelli, presidente di Confartigianato, tuttavia trae dai risultati della ricerca qualche considerazione positiva. Oltre a sottolineare che “non c’è robot od algoritmo che possa copiare il sapere artigiano e simulare l’anima dei prodotti”, nota come molte piccole aziende riescano a migliorare la propria produttività proprio grazie all’automazione. La quota di imprese artigianali che utilizza robot nel nostro Paese sfiora il 7%, più della media europea che si aggira intorno al 4,6%. Il 13 per cento degli artigiani italiani inoltre ha in programma di investire nel prossimo futuro in A.I.

Decisamente orientata verso pronostici favorevoli è la Bank of America, secondo cui entro il 2025 l’automazione avrà cancellato 85 milioni di posti di lavoro ma ne avrà creati 97. Sulla stessa lunghezza d’onda l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), agenzia ONU con sede a Ginevra, prevede una integrazione dei posti di lavoro esistenti all’interno di nuovi schemi produttivi più tecnologizzati, piuttosto che una loro cancellazione. Nemmeno l’OIL però può negare che certe forme di impiego siano destinate a svanire. Particolarmente vulnerabile è il settore impiegatizio, dove un quarto delle mansioni sono fortemente soggette a rischio scomparsa, e una buona metà lo sono abbastanza. Opposta è la situazione che si prospetta per professionisti, tecnici, dirigenti, cioè per chi ha nel proprio bagaglio formativo specifiche competenze. Il rischio è elevato solo per una piccola parte di loro.

 Il Mc Kinsey Global Institute in un rapporto su “Automazione, Impiego e Produttività” presentato al World Economic Forum di Davos lo scorso gennaio guarda molto lontano nel tempo e vede il 2055 come l’anno in cui ben metà delle attività saranno probabilmente automatizzate. Lungo il cammino nasceranno nuove figure professionali, in parte attraverso l’evoluzione di alcune già esistenti. Altre sono destinate a un graduale declino. Al primo gruppo appartengono gli specialisti di intelligenza artificiale, gli esperti in ingegneria robotica ed elettrotecnica, gli analisti addetti alla cybersecurity, etc.. Al secondo gran parte di coloro che svolgono mansioni impiegatizie (in banche, uffici postali, assicurazioni, etc.), oltre a contabili, segretari, e così via.

 Una figura che sembra avere un radioso futuro davanti a sé, benché al momento non abbia ancora un presente, è l’”antronomo“, cioè una sorta di garante del rispetto dell’essere umano all’interno dei processi di innovazione ed automazione. Non un moralista, non un filosofo, ma un individuo con competenze tecniche trasversali che lo rendano capace di declinare i principi etici e i valori umanitari in un contesto altamente tecnologizzato e caratterizzato dalla diffusione dell’intelligenza artificiale. A Torino dal 2021 presso la facoltà di psicologia già esiste un corso di antronomia. 

Se l’impatto sull’occupazione è oggetto di perplessità, sono pochi a dubitare che l’automazione favorisca la crescita di chi sia disposto ad investirci. Hanno destato scalpore i dati sugli utili realizzati dall’americana “Nvidia”, leader mondiale nella produzione di processori grafici per videogiochi e videoconferenze. Il più popolare strumento creato da Nvidia, “H100”, consente di generare immagini, video, musica, testi senza intervento umano. Opera imitando il funzionamento del nostro cervello. Nei primi sette mesi del 2023 la quotazione in borsa del colosso gestito da Jensen Huang è salita del 200% inserendo Nvidia nella striminzita cerchia dei titoli con un valore superiore ai mille miliardi di dollari a fianco di Amazon, Apple, Microsoft e pochi altri.



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