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Domanda e offerta non s’incontrano: 531mila assunzioni programmate ma solo metà andrà in porto

LUNEDÌ 02 OTTOBRE 2023 | Lascia un commento
Foto Domanda e offerta non s’incontrano: 531mila assunzioni programmate ma solo metà andrà in porto
Scritto da Gabriel Bertinetto

Con regolare cadenza trimestrale i bollettini Excelsior di UnionCamere ripropongono il dramma di un mercato del lavoro in cui domanda ed offerta continuano affannosamente a cercarsi ma faticano a raggiungersi. Nel periodo compreso fra settembre e novembre dell’anno in corso le aziende italiane hanno in programma complessivamente 531mila assunzioni. Solo la metà sembra però destinata ad andare a buon fine, mentre 250mila posti circa resteranno probabilmente scoperti. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso crescono di 7mila unità le richieste, ma sale anche la quantità destinata a restare insoddisfatta. Se a fine 2022 la percentuale delle mancate assunzioni si era avvicinata al 43%, ora viene calcolata intorno al 48%. Ma si supera addirittura il 60% per tecnici, ingegneri, operai specializzati. Andando nello specifico risultano particolarmente irreperibili certe particolari figure artigianali, oltre ad addetti alla manutenzione dei macchinari e a specialisti vari del settore edilizio. Sul piano geografico si registrano differenze notevoli: si fa più fatica a procurarsi la manodopera necessaria nel Nord Est (oltre il 53%) , mentre al Centro e al Sud la quota degli introvabili è inferiore alla media nazionale.

Per capire quanto il problema sia sentito dal mondo imprenditoriale italiano mettiamo a fuoco una realtà particolare, quella del bresciano, dove il tasso di disoccupazione è uno dei più bassi in Italia, inferiore al 4%. Eppure anche in questa provincia relativamente meglio attrezzata quanto a possibilità di impiego, il problema di una domanda e un’offerta di lavoro che faticano ad incontrarsi si manifesta in forma evidente. Se ne è occupata l’università locale organizzando una tavola rotonda alla quale erano invitati molti operatori economici della zona. Riccardo Bottoni, responsabile del personale dell’industria siderurgica Feralpi ha affermato che “si inizia ad avvertire una scarsità di risorse qualificate”, mentre il suo omologo del Gruppo Busi, Salvatore Vancheri, ha rilevato “un ritardo nel sistema scolastico”. Per l’Osservatorio di Confindustria Brescia, il 56% delle aziende ha difficoltà nel reperire persone con competenze adeguate. Insomma il nocciolo del problema sembrerebbe risiedere anche in quesa parte più produttiva del paese nella formazione. 

Bisogna dire che il disallineamento fra domanda e offerta di lavoro, particolarmente forte in Italia, caratterizza in varia misura anche il resto d’Europa. Lo dimostra uno studio di “Eurofound”, l’agenzia UE per l’analisi delle politiche del lavoro, nel quale la questione viene affrontata da un diverso angolo visuale. Sotto osservazione non è tanto la quantità di assunzioni che le aziende non riescono ad effettuare, ma la maggiore o minore corrispondenza fra le competenze dei lavoratori occupati e le necessità degli imprenditori. Ebbene risulta che la percentuale media di lavoratori dotati di una preparazione rispondente alle esigenze è su scala europea pari al 71%. A fianco di questo dato la ricerca sottolinea il 16% e 12% di coloro che sono sovra o sotto qualificati. In quasi due quinti delle aziende europee inoltre la fetta di mansioni che richiedono un aggiornamento professionale continuo varia dal 20 all’80 per cento, ma ci sono aziende (più o meno una su sei) nelle quali questa esigenza riguarda quasi tutte le mansioni. 

Il quadro generale dunque è quello di un mercato del lavoro in continua evoluzione, nel quale l’affinamento, l’approfondimento, la revisione delle competenze è la condizione per mantenersi a galla ed avere chances di impiego. Più il sistema scolastico e formativo è elastico e dinamico, maggiori sono le probabilità che la domanda e l’offerta di lavoro si incontrino agevolmente. Su questo terreno l’Italia è in ritardo rispetto a molti Paesi, ed anche a prescindere dalla qualità  dell’insegnamento, è insoddisfacente il livello generale di scolarità. In parole povere da noi ci sono pochi laureati e una elevata quota di persone con titoli di studio bassi. Stando alla classificazione ISCED usata dall’Unesco per valutare e comparare i sistemi educativi nel mondo, ci troviamo infatti molto sotto la media europea per quanto riguarda la percentuale di individui provvisti di diplomi universitari o consimili (il 18% degli italiani contro il 31% della popolazione europea) mentre la quota di coloro che hanno un livello di istruzione molto basso giunge da noi a sfiorare il 39%.

Questo si riflette nel rapporto squilibrato fra le aspettative dei datori di lavoro e gli effettivi risultati conseguiti al momento dell’assunzione di un nuovo dipendente. Guardiamo quanto è accaduto nel 2022. Anche questi sono dati UnionCamere, ma riguardano una realtà acquisita e non in fieri come quelli che citavamo all’inizio a proposito del trimestre settembre-novembre 2023. Complessivamente l’anno scorso le aziende sono riuscite a coprire i quattro quinti dei posti di lavoro programmati. Ma è impressionante notare come la parte di persone che hanno ottenuto un impiego pur essendo prive di titolo di studio superi il milione e mezzo, mentre era stata programmata l’assunzione di meno di un milione, Questo significa che le aziende hanno dovuto rassegnarsi in troppi casi ad accogliere lavoratori poco qualificati perché quelli dotati di adeguata preparazione scarseggiavano.

Le aziende cercano e non trovano. Lo stesso accade spesso ai disoccupati che si rivolgono ai Centri per l’Impiego regionali nell’ambito del programma governativo chiamato GOL (Garanzia Occupabilità dei Lavoratori). GOL è uno strumento volto a promuovere l’occupazione collegato al PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), per il quale sono stati stanziati quasi quattro miliardi e mezzo di euro, oltre ad altre cospicue somme come i 600 milioni per il potenziamento dei Centri per l’Impiego. I dati recentemente forniti da ANPAL (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) rivelano che a sei mesi dal giorno in cui il lavoratore si è rivolto al Centro per l’Impiego, meno del 30% ha trovato lavoro. Per essere più precisi 240mila su 809mila. Gli altri 530mila circa sono in attesa.

La domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: perché tanti disoccupati se le aziende sostengono di avere bisogno di assumere? Qualche risposta si trova nelle analisi e nelle valutazioni riportate sopra. Aggiungiamo il parere di Confartigianato, che ha studiato a sua volta il problema, ed indica come causa principale la mancanza di candidati, prima ancora dell’insufficiente preparazione professionale. Viene da pensare che l’operato dei Centri per l’Impiego non sia privo di lacune: come si concilia la mancanza di candidati con il fatto che 530mila persone siano iscritte al programma GOL e dunque si sia candidata ad essere assunta? In realtà è ANPAL stessa a lasciar capire che qualcosa non funzioni alla perfezione, quando allude esplicitamente a problemi di reperimento delle informazioni sullo stato di attuazione del GOL.



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