Subire un demansionamento sul lavoro non è sicuramente una cosa può far piacere, anzi. Può senza dubbio generare un forte malcontento da parte del lavoratore dipendente, specialmente se percepisce tale azione come un peggioramento del ruolo o una frenata nelle prospettive di carriera. Una sentenza della Cassazione, la numero 24133, ha chiarito in maniera chiara e netta che la privazione della propria professionalità può comportare un danno risarcibile. Si tratta di una sentenza estremamente importante che merita di essere approfondita per capire al meglio i dettagli di quanto previsto.
Demansionamento: facciamo un riepilogo
Prima di entrare nel merito della sentenza della Cassazione, riteniamo opportuno fare un passo indietro per definire meglio il contesto nel quale i giudici si sono espressi.
La vicenda è nata quando un lavoratore dipendente, contestando la decisione del datore di lavoro presa nei suoi confronti, si è rivolto alla magistratura con l’obiettivo di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del demansionamento.
La corte d’appello ha accolto parzialmente il ricorso dell’uomo contro la sentenza negativa emessa dal tribunale della stessa sede e ha condannato la società datrice al pagamento, in favore del dipendente, di oltre 50.000 euro a titolo di risarcimento danni da dequalificazione professionale.
Dopodiché la storia è proseguita con il ricorso in Cassazione presentato dalla società datrice. Entrando nello specifico, l’azienda si è difesa contestando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2103 del Codice Civile, che si riferisce alla disciplina dell’assegnazione delle mansioni.
E non è tutto, la società si è difesa appellandosi ad altre motivazioni di impugnazione. In particolare, citando l’articolo 360 terzo comma del Codice di procedura civile, la società ha contestato la violazione e la falsa applicazione di varie norme del Codice Civile, a partire dalla mancanza di una prova solida del danno professionale derivante dal demansionamento.
La Cassazione ha respinto il ricorso della società datrice
In definitiva, i giudici della Cassazione hanno rigettato il ricorso della società, sottolineando che la Corte territoriale, nel proprio giudizio, ha tenuto conto di numerosi fatti oggettivi.
A partire dal fatto che nel 2008, la società ha dato il via a una profonda attività di riorganizzazione e rimodulazione del numero dei dipendenti assegnati alle c.d. Aree di Staff, indirizzandoli nei settori aziendali più affini alle attività legate al business dell’impresa.
Soprattutto, spiega la Cassazione nella sentenza 24133/2025, il giudice d’appello ha dato ragione al lavoratore sia in base alla documentazione fornita durante il processo che in alcune testimonianze.
Dunque, la motivazione stabilita dalla magistratura del secondo grado è assolutamente inattaccabile. Non a caso, nella sentenza, viene scritto che quanto evidenziato dal lavoratore dipendente dequalificato, porta alla conclusione che le nuove mansioni assegnate poco avevano a che fare con il bagaglio professionale posseduto e sviluppatosi negli anni nel settore delle Risorse Umane.
Tra l’altro, il demansionamento era avvenuto senza alcuna formazione o riqualificazione e la corte territoriale aveva evidenziato un problema di dislocazione anche logistica e di isolamento dai colleghi.
Cosa cambia adesso?
Alla luce di quanto emerso, la Cassazione ha evidentemente emesso una sentenza di tutela per i lavoratori dipendenti che vengono trasferiti in un settore o reparto diverso, svolgendo attività e mansioni inferiori rispetto a quelle precedenti.
Evidentemente, per ottenere il risarcimento, non è necessario provare o veder riconosciuto dal giudice un danno da perdita di chance infatti, come indicato nella citata sentenza della Cassazione, si è ritenuto del tutto sufficiente provare il danno derivante dalla dequalificazione delle capacità professionali acquisite dal lavoratore.
In conclusione, non possiamo che prendere atto del fatto che per il lavoratore dipendente questa sentenza rappresenta una svolta estremamente importante.
Qualora si subisca un demansionamento, è possibile far valere i propri diritti dimostrando, anche con semplici indizi e testimonianze, il chiaro effetto del depotenziamento della propria professionalità.
Dunque, la tutela stabilita dalla Cassazione non mette in rilevo solo lo stipendio, ma soprattutto la dignità professionale e le prospettive di carriera del lavoratore dipendente che, a causa del demansionamento, possono subire effetti negativi.