Blog e News

Mismatch fra domanda e offerta di lavoro: un problema cronico dalle molte facce

GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 2025 | Lascia un commento
Foto Mismatch fra domanda e offerta di lavoro: un problema cronico dalle molte facce
Scritto da Gabriel Bertinetto

Fra i luoghi comuni più diffusi nel mondo del lavoro, ce n’è uno che viene spesso ripetuto senza nemmeno più suscitare stupore, ed è la difficoltà che molti imprenditori incontrano nel reperire il personale di cui hanno bisogno, pur in presenza di dati sulla disoccupazione che almeno nelle fasce di età giovanili permangono elevati. Le cronache abbondano di vicende paradossali, denunciate da datori di lavoro disposti ad offrire paghe elevate per impieghi che apparentemente nessuno è disposto a svolgere. Sui mezzi pubblici milanesi, non escluso il tipico tram, sono comparsi recentemente annunci pubblicitari di una ditta interessata ad arruolare tecnici e operai specializzati per stipendi compresi fra 1800 e 2700 euro. L’imprenditore, Saverio Cutrullà. titolare di Save Group, una ditta che fornisce servizi di manutenzione e gestione sostenibile di immobili ad uso residenziale e industriale in diverse zone del nord Italia e dell’Abruzzo, è disposto a offrire retribuzioni che superano di alcune centinaia di euro quelle previste dai contratti nazionali. Ma sono mesi che non riesce a trovare né elettricisti né project manager, né idraulici né escavatoristi, né autisti né frigoristi. La conclusione amara che Cutrullà ne trae, è di tipo culturale: “L’impressione è che tanti giovani sognino di fare lavori per i quali non si faccia fatica come i creativi, i modelli o gli influencer”. 

Nel caso appena citato, il bando è andato deserto. Non si è presentato nessuno. Altre volte, ed anche questo è allarmante, i candidati non sono all’altezza. Le rilevazioni che con cadenza mensile svolge Unioncamere fotografano da anni più o meno la stessa situazione di “mismatch”, cioè di mancata corrispondenza fra domanda e offerta di lavoro. Risulta costantemente introvabile circa metà delle figure professionali provviste di laurea o di diploma di istituto tecnologico superiore. Quest’anno ad esempio erano state programmate quattro milioni e quattrocentomila assunzioni così suddivise: 670 mila laureati, 120mila diplomati di Its Academy, 3 milioni e 600mila diplomati di scuola superiore. Le caselle riempite superano di poco il 50%. Il commento di Andrea Prete, presidente di Unioncamere, è fortemente critico: “Il gap tra domanda e offerta di lavoro non è una prerogativa italiana ma certo rappresenta un freno importante alla competitività del sistema Paese”.

Tra i profili professionali più difficili da trovare, a livello universitario, sono gli economisti. Merce rara anche coloro che sono dotati di titoli di studio comunemente etichettati con l’acronimo inglese “Stem”, attinenti cioè a materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche, matematiche.

Il gap fra domanda e offerta di lavoro raggiunge a volte livelli vertiginosamente ampi, come nel caso degli esperti in sviluppo sostenibile, energie verdi, ed economia circolare, dove a seconda delle diverse mansioni si sfiora o addirittura si supera il 90%.

Marcella Mallen, consigliera del CNEL (Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro) mette in evidenza come il nostro mercato del lavoro sia affetto da una “cronica carenza di figure tecniche e specializzate”. Ciò getta un’ombra scura sul futuro occupazionale italiano, alla luce delle previsioni che lo stesso CNEL formula assieme ad Unioncamere per il quinquennio 2025-2029. Fra aziende private e pubblica amministrazione sarà necessario assumere un numero di persone compreso fra 3,3 e 3,7 milioni, tre quarti delle quali nei servizi. Circa il 17% riguarderà l’industria. Ma la questione cruciale è il livello di istruzione: servirebbero per il 46% persone con formazione tecnica secondaria, e per il 37% laureati e diplomati ITS. Il problema è che con ogni probabilità si stenterà a reperirne in numero sufficiente.

Come gli studiosi sottolineano da tempo, le radici del problema affondano nelle carenze del sistema scolastico e formativo. Secondo Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, “in molte aree del paese l’offerta formativa resta carente, soprattutto nei settori tecnico-scientifici e non tutte le famiglie hanno la possibilità di sostenere costi importanti legati agli studi universitari fuori sede”. 

Se il fenomeno in Italia è particolarmente accentuato, non si può dire che esso non rappresenti un problema anche a livello mondiale. Una recente inchiesta del Boston Consulting Group, una delle principali società di consulenza strategica mondiale, prevede che entro il 2030 il numero di persone sovra o sotto qualificate per le mansioni che svolgono o alle quali aspirano, raggiungerà la cifra di un miliardo e quattrocento milioni, in crescita di cento milioni rispetto ai livelli attuali. In Italia rispetto ad altri Paesi grava la relativa scarsità degli investimenti nell’istruzione e nella ricerca: rispetto ad una media OCSE che supera il 5%, la porzione di PIL che da noi viene destinata a quegli scopi si attesta intorno al 4,2%. 

A livello concettuale gli esperti distinguono fra “skill shortage” e “talent shortage”, cioè fra carenza di competenze da parte della forza lavoro disponibile e carezza di personale dotato di specifiche competenze. Insomma nel primo caso i dipendenti di cui disponi non sono adeguatamente preparati, nel secondo non li trovi nemmeno a cercarli. L’uno e l’altro problema sono legati alla rapida trasformazione dei processi tecnologici ed alla difficoltà di tenere il passo con i medesimi.

Ci sono però altri aspetti della questione, messi in luce da una ricerca di Randstad, una società olandese che opera nel settore delle Risorse Umane. A volte non sono tanto le aziende a trovare impedimenti nel reperimento delle figure di cui hanno bisogno, quanto piuttosto i lavoratori ad essere insoddisfatti di ciò che viene loro offerto in termini di retribuzione e benefit aziendali. Questi elementi peserebbero notevolmente nella tendenza a cambiare impiego. Il primo fattore sarebbe importante per il 41% dei dipendenti, il secondo per il 19%.

Sempre più importante, soprattutto per i “millennials” (nati fra 1981 e 1996) e i giovani di Gen Z (nati a partire dal 1997), è il sistema di valori a cui si ispira l’attività produttiva, soprattutto in materia sociale e ambientale. L’analisi di Randstad Workmonitor rivela che questo aspetto conta notevolmente per il 69% degli italiani nel giudizio sulla propria occupazione o su futuri eventuali impieghi. Quasi un terzo rifiuterebbe un’offerta di lavoro se fosse disgiunta da un impegno sul terreno dell’equità e della sostenibilità. Infine un fattore determinante per le scelte degli individui è la facoltà di conciliare il lavoro con la vita privata. Quattro quinti degli italiani auspica maggiore flessibilità di orario, e quasi un terzo considera l’orario un attributo decisivo per l’accettazione o meno di un’offerta di lavoro.

Insomma quando si parla di mismatch fra domanda e offerta di lavoro bisogna tenere conto di una serie complessa di fattori e di punti di vista. 

Se i datori di lavoro lamentano la carenza di competenze disponibili sul mercato, i lavoratori (in Italia quasi la metà) denunciano la mancanza di opportunità formative e di riqualificazione professionale.



LinkedIn
Whatsapp
LASCIA UN COMMENTO
Acconsento al trattamento dei miei dati personali in conformità alle vigenti norme sulla privacy. Dichiaro di aver letto e accettato l'informativa sulla privacy
INVIA COMMENTO