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Prospettive rosee per l’occupazione “green”, Ma solo 1 candidato su 2 ha competenze adeguate

MARTEDÌ 09 SETTEMBRE 2025 | Lascia un commento
Foto Prospettive rosee per l’occupazione “green”, Ma solo 1 candidato su 2 ha competenze adeguate
Scritto da Gabriel Bertinetto

Il futuro dell’occupazione verde sembra roseo. Non è un gioco di parole, bensì l’immagine che scaturisce spontanea dalla lettura delle previsioni che sono formulate nel rapporto del World Economic Forum intitolato “Future of Jobs Report 2025”. Mansioni come quella di ingegnere ambientale, specialista in energie rinnovabili, tecnico dell’automazione elettrica sono fra i 15 lavori che si stanno diffondendo in maniera più rapida. Secondo lo studio del World Economic Forum nel prossimo quinquennio potremmo sì assistere su scala mondiale alla scomparsa di 92 milioni di posti di lavoro, ma il vuoto sarà riempito da altri 170 milioni, buona parte dei quali legati alle nuove tecnologie ed alla transizione energetica. Di questo saldo attivo pari a 78 milioni di nuovi occupati, e corrispondente al 14% dell’occupazione globale attuale, ben 9 milioni saranno infatti “green jobs”. Disarticolando il dato complessivo riguardante questi ultimi, 5 milioni proverranno da attività destinate a ridurre le emissioni di carbonio, 3 da iniziative per adattare le modalità lavorative ai cambiamenti climatici, e 1 dai cambiamenti tecnologici nella produzione e distribuzione di energia. Nove milioni in totale dunque.

 

Calcoli contenenti cifre così grosse e riguardanti per lo più non un singolo Paese o una ristretta comunità ma addirittura l’intero pianeta, devono essere necessariamente presi con le molle. Tanto più quando non ci si limita a fotografare una realtà esistente, ma si ipotizzano scenari futuri, la cui effettiva materializzazione potrebbe essere inficiata dal manifestarsi di fenomeni imprevisti. Un caso tipico sono gli errori compiuti qualche anno fa dagli studiosi nel descrivere situazioni economiche e sociali in fieri, senza tenere conto della pandemia che di lì a poco avrebbe ridimensionato ogni cosa e spazzato via tanti pronostici. E tuttavia lo studio preparato dal World Economic Forum sembra avere solide fondamenta, essendo basato sull’esame di oltre mille imprese di grandi dimensioni, appartenenti a 22 diversi settori produttivi per una forza lavoro complessiva superiore ai 14 milioni di persone. Difficile valutare quanto sia rappresentativo il campione. Certamente è numericamente consistente.

 

Il 41% degli imprenditori interpellati ritiene che nell’arco dei prossimi 5 anni sarà costretto a ricalibrare la propria attività per adeguarsi agli sconvolgimenti climatici in atto. In particolare le trasformazioni organizzative saranno fortemente condizionate (su questo concorda quasi metà dei datori di lavoro) dalle iniziative che i vari governi prenderanno per ridurre le emissioni di carbonio. All’interno di questo quadro generale si colloca il discorso sui cosiddetti “green jobs”, vale a dire quelle mansioni che per usare la definizione della International Labour Organization, l’agenzia Onu per il lavoro con sede a Ginevra, “contribuiscono a preservare o ripristinare l’ambiente”. Si tratta di impieghi finalizzati a tutelare gli ecosistemi, a contenere gli sprechi energetici e l’inquinamento, a favorire il riciclo dell’immondizia oppure una loro eliminazione secondo modalità che non siano nocive all’ambiente.

 

Alcuni di questi mestieri, come quello di ingegnere ambientale, sono “green” nel senso che hanno direttamente a che fare con attività ecologiche. L’ingegnere ambientale elabora ed attua progetti diretti alla protezione delle risorse naturali: dalla gestione dei rifiuti ad uno sfruttamento del territorio che sia compatibile con uno sviluppo non dannoso alla qualità dell’aria, dell’acqua e della terra. Altre attività sono di tipo tradizionale, ma si colorano per così dire di verde con il recepire obiettivi legati alla sostenibilità. Un esempio parallelo a quello che facevamo prima dell’ingegnere ambientale può essere quello di un architetto che incorpori nella sua prassi progettuale i dettami della bio-edilizia, ad esempio nella scelta dei materiali di costruzione. 

 

Tornando allo studio del World Economic Forum, esso sottolinea come fra il 2022 e il 2023 il numero di lavoratori con competenze verdi sia cresciuto nel mondo del 12%, ma soprattutto invita a considerare la persistente insufficienza dell’offerta rispetto alla domanda. C’è un gran bisogno di persone adeguatamente preparate per svolgere quel tipo di lavori. 

 

A questo riguardo hanno suscitato notevole interesse le previsioni pubblicate recentemente dalle autorità tedesche circa le prospettive della transizione energetica nel loro Paese. Lo IAB, istituto per la ricerca sul mercato del lavoro con sede a Norimberga, sostiene che entro il 2030 la Germania avrà bisogno di 160mila lavoratori in più per realizzare i programmi di espansione nel campo delle energie rinnovabili. Il problema è che gran parte di questa manodopera aggiuntiva non è ancora sufficientemente formata. La preoccupazione degli esperti tedeschi è in linea con i segnali d’allarme che lanciano i loro colleghi di altri Paesi, Italia compresa. Nei mesi scorsi Unioncamere in collaborazione con il Centro Studi Tagliacarne ha prodotto un documento intitolato “Le competenze green”, dal quale risulta che se i profili professionali “verdi” sono richiesti nell’80% delle nuove assunzioni, il loro effettivo reperimento è largamente insoddisfacente: solo 1 su 2 dei candidati risulta esserne dotato. 

 

Allargando nuovamente l’angolo visuale verso una dimensione globale, troviamo dati interessanti nell’indagine condotta da “C40”, una rete che collega un centinaio di sindaci delle principali città del mondo, uniti dal comune interesse ad intraprendere azioni volte ad affrontare la crisi climatica. Le metropoli riunite in C40 (l’Italia è rappresentata da Roma e Milano) puntano a creare 50 milioni di posti di lavoro “green” entro il 2030. Intanto la ricerca certifica che in 74 di queste città essi già ammontano a 16 milioni e costituiscono il 10% dell’occupazione globale. Quanto all’Italia nel suo insieme, il totale dei “green jobs” supera attualmente i 3 milioni e costituisce oltre il 13% dell’occupazione totale, secondo gli studi della fondazione Symbola. 

 

Un’altra società di analisi e consulenza, “ManpowerGroup”, sostiene che 7 aziende su 10 in Italia hanno in programma assunzioni di persone com competenze verdi. Ciò riguarda tutti i settori d’attività, con prevalenza dell’industria energetica, della pubblicità amministrazione, dei servizi finanziari e dell’informatica. Tuttavia, ben il 94% ammette di non disporre delle figure professionali adatte, ed il 75% lamenta di non riuscire a reperirle sul mercato. Di questo, sostiene Daniela Caputo che dirige la sezione Marketing ed Innovation di ManpowerGroup, dovrebbero farsi carico anche le aziende stesse attraverso “investimenti in upskilling e reskiling, riqualificazione e aggiornamento delle competenze”. Le aziende che trascurano questo aspetto, aggiunge Caputo, “rischiano di perdere talenti e risorse cruciali”.



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