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Daniela Del Boca, direttrice di “Child”: con più asili e congedi ai neo-padri calano le disuguaglianze di genere

MERCOLEDÌ 10 NOVEMBRE 2021 | Lascia un commento
Foto Daniela Del Boca, direttrice di “Child”: con più asili e congedi ai neo-padri calano le disuguaglianze di genere
Scritto da Gabriel Bertinetto

La disuguaglianza di genere, nelle opportunità lavorative così come nella vita sociale e familiare, persiste in maniera più o meno accentuata anche nei Paesi in cui si sono registrati importanti passi avanti sul terreno dell’emancipazione femminile. Ne parliamo con una esperta in materia, la professoressa Daniela Del Boca, che insegna Economia all’Università di Torino e nella stessa città dirige il Centro di Economia Familiare “Child” presso il Collegio Carlo Alberto. Secondo la professoressa Del Boca la situazione può migliorare incrementando l’offerta di asili nido e del tempo pieno scolastico, o anche rendendo obbligatorie le assenze retribuite dal lavoro per i neo-padri.  

 

La disuguaglianza di genere è oggetto costante dei suoi studi. Come fotograferebbe il fenomeno, prof.ssa Del Boca, sia per il modo in cui si è manifestato durante la pandemia sia in rapporto alla situazione precedente?

Mi sono occupata di questi problemi con altre ricercatrici a partire da un’indagine che effettuammo nel 2019, in epoca appena antecedente lo scoppio della crisi sanitaria. In quell’anno ci rivolgemmo ad un campione di 1500 donne per analizzare problemi inerenti sia al lavoro extra-domestico sia alla divisione dei compiti fra i coniugi in seno al nucleo familiare. Abbiamo poi ripetuto l’inchiesta durante la pandemia, in due diversi momenti: nel periodo iniziale, cioè la primavera del 2020 quando si era in pieno lock-down, e poi durante la fase calante nell’autunno successivo. Va detto che in Italia meno della metà delle donne lavora, un dato che colloca il nostro Paese ai posti più bassi della classifica europea. Con la diffusione del Covid 19, la situazione si è ulteriormente aggravata. Ciò ha riguardato entrambi i sessi, ma le donne sono rimaste particolarmente penalizzate perché la perdita del lavoro è stata più estesa nel settore dei servizi, dove esse sono più presenti. In altri precedenti casi di recessione economica viceversa, nei quali il calo occupazionale toccava soprattutto l’industria manifatturiera, il peso della crisi era ricaduto prevalentemente sulla popolazione maschile che in quel tipo di attività economiche era sovra-rappresentata. 

 

Che cosa è accaduto dunque?

I nostri sondaggi hanno appurato che le donne, seppure abbiano inizialmente fruito della diffusione del cosiddetto smart working, alla lunga nel corso dell’emergenza sanitaria ne hanno subìto pesanti effetti nocivi. E’ emerso che le mogli hanno consacrato alle attività domestiche e alla cura dei figli più tempo di quello che, rispetto ai mariti, già dedicavano in passato. Il “lavoro agile” insomma ha favorito più gli uni che non le altre. Questo fenomeno è stato particolarmente accentuato durante il lock-down e per tutto il tempo in cui le scuole sono rimaste chiuse. Ma anche le rilevazioni da noi effettuate nella fase seguente hanno dimostrato che il tempo riservato dalle donne alla casa ed ai figli era in crescita sia nel confronto con i coniugi sia rispetto alla situazione pre-pandemica. Quanto al lavoro extra-domestico, il gap di genere è enorme: solo il 36% delle donne ha recuperato il lavoro perso durante la crisi, a fronte del 50% degli uomini.

 

Ha accennato alle divergenze fra l’Italia e il resto d’Europa. In che cosa ci differenziamo, in che cosa gli altri sono più avanti di noi sul terreno dell’uguaglianza  di genere?

Diciamo che nei Paesi scandinavi e del nord Europa in generale si verifica una situazione di sostanziale parità. In altri, come Germania, Spagna, Portogallo, le cose non vanno benissimo, ma sempre meglio che da noi. Peggio dell’Italia solo Malta e Grecia. 

 

Esistono modelli esterni replicabili nelle particolari condizioni della società in cui viviamo?

Posso menzionare la Francia, che ha una struttura socio-economica simile alla nostra, ma ha prodotto politiche per la famiglia più avanzate, sia per quanto riguarda i congedi di maternità, sia per la possibilità di usufruire di asili nido. Le imprese poi sono indotte dal sistema legislativo francese a frenare eventuali tendenze alla discriminazione fra i sessi. Ma vorrei citare in particolare la Spagna, che somiglia ancor di più a noi per caratteristiche sociali e culturali, ma recentemente ha elaborato politiche molto moderne per una più equa organizzazione della vita familiare. Grazie alla forte rappresentanza femminile nella composizione del governo (la metà dei ministri sono donne) è cresciuta la sensibilità rispetto a queste tematiche. E i risultati sono arrivati con la legge che stabilisce congedi parentali obbligatori e identici per entrambi i coniugi. Si è notato fra l’altro come l’equa condivisione delle mansioni domestiche e dei compiti educativi si rifletta a vantaggio dei figli. I bambini che crescono in un ambiente caratterizzato dalla compartecipazione paritaria di entrambi i genitori alla vita famigliare mostrano comportamenti più equilibrati ed un più alto rendimento scolastico.

 

Anche in Italia negli ultimi anni sono state introdotte norme riguardanti le assenze giustificate e retribuite per i padri nei primi anni di vita dei figli. Come le valuta?

In realtà solo il 30% di chi ne aveva diritto ha usufruito di questa chance. Ciò dipende in buona parte da un fattore culturale, quasi sia meritevole di stigma il maschio che si rassegna a svolgere mansioni di tipo “femminile”. Così l’opportunità troppo spesso non viene colta, e non viene colta proprio perché è un’opportunità e non un obbligo. Diverso sarebbe se il congedo parentale maschile diventasse un dovere sancito dalla legge e non una semplice facoltà. Quella che sembra funzionare in Italia è invece la normativa sulla composizione dei Consigli di Amministrazione aziendali. Una legge del 2019 impone quote “rosa” pari ai due quinti. Questo vincolo sembra avere avuto effetti collaterali positivi, nel senso che sono stati rotti certi schemi che frenavano il rinnovamento degli organismi dirigenziali a vantaggio dell’ingresso di persone più giovani e più competenti. 

 

Quali riforme potrebbero contribuire a ridurre la disuguaglianza di genere in Italia?

Ad esempio alcuni provvedimenti previsti dal PNRR, il Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa varato dal governo per usufruire degli speciali fondi che l’Unione Europea concede agli Stati membri per fronteggiare l’emergenza Covid e uscirne rafforzati. Ne cito due.  Investimenti nella ricerca atti a stimolare la scelta di facoltà universitarie di tipo scientifico anziché umanistico. Sovente le femmine si iscrivono a lettere o filosofia piuttosto che a economia o ingegneria non tanto per una precisa predilezione ma perché l’insegnamento appare un’attività maggiormente conciliabile con la vita da mamma. In quel modo ci si preclude la via verso impieghi più remunerativi. Le differenze di salario trovano così origine nelle scelte scolastiche. Altro investimento previsto dal PNRR è l’ampliamento della rete di asili nido e di istituti che offrono il “tempo pieno” ad alunni e famiglie. Sono importanti passi avanti per consentire una maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro, anche se incidono di meno sull’altro aspetto della disuguaglianza di genere, quella che si esplica nello squilibrio coniugale in materia di compiti domestici ed educativi.

 

Cosa può dirci sul tema della disparità salariale. Come si manifesta in Italia?

In realtà per legge a uguale mansione ed uguale grado di anzianità dovrebbe corrispondere un identico trattamento economico. Nelle piccole aziende è più facile violare questo principio piuttosto che nelle grandi, ovviamente. Ma la vera disparità salariale è quella fra l’universo maschile e femminile nella loro globalità. Statisticamente la media della retribuzione femminile è inferiore perché le donne lavorano per un numero minore di anni e spesso anche quando sono occupate, lo sono con orari ridotti. Il 40% delle donne abbandona il lavoro dopo la prima gravidanza. Accade anche negli altri Paesi, dove però il rientro al lavoro è assai più frequente. C’è poi un fenomeno molto italiano, e poco europeo, ed è la difficolta di trovare un impiego per le donne che abbiano un basso titolo di studio. Altrove non c’è sostanziale differenza, sul piano delle opportunità occupazionali, per le donne che abbiano una qualificazione inferiore rispetto alle altre. Da noi invece le donne prive di un titolo di studio elevato sono più penalizzate rispetto a quanto accade nel resto d’Europa.



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