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Futuri occupati al Sud: + 16% in 10 anni. La ricetta di Confcommercio illustrata da Mariano Bella, direttore Ufficio Studi

GIOVEDÌ 16 GIUGNO 2022 | Lascia un commento
Foto Futuri occupati al Sud: + 16% in 10 anni. La ricetta di Confcommercio illustrata  da Mariano Bella, direttore Ufficio Studi
Scritto da Gabriel Bertinetto

L’analisi del dr. Mariano Bella sullo stato dell’economia e dell’occupazione nel Sud Italia è impietosa. Bella è a capo del’Ufficio Studi della Confcommercio e si è occupato a fondo del problema. Tutti i dati empirici, dice, convergono nel disegnare un quadro di immobilità che perdura da decenni. Eppure le possibilità di crescita ci sarebbero, qualora venissero affrontate in maniera efficace alcune questioni che scoraggiano gli investimenti in quell’area del Paese. Il PNRR rappresenta un’opportunità che non deve essere assolutamente sciupata. In dieci anni il PIL al Sud potrebbe salire del 23% e l’occupazione del 16%. Pur invitando a non farsi troppe illusioni, in questa intervista il dr. Bella spiega in che modo ciò potrebbe avvenire.

 

I dati recentemente diffusi da Eurostat confermano l’arretratezza dell’Italia meridionale in rapporto al resto del Paese e alle altre regioni europee. Su questi temi ha svolto interessanti ricerche anche l’Ufficio Studi della Confcommercio che lei, dottor Mariano Bella, dirige. Vuole descrivere la situazione del nostro Sud sul piano produttivo, organizzativo, occupazionale?

Direi che è una situazione grave, e la gravità sta proprio nel fatto che non è cambiato niente da 25 anni a questa parte. L’indagine di Eurostat restituisce appunto un quadro rimasto immutato nell’arco di un quarto di secolo. Il Sud presenta tutti i difetti di un’economia condannata all’assenza di crescita. I dati sono convergenti nel descrivere questo stato di fatto impressionante, a cominciare da una disoccupazione di lunga durata che appare enorme se facciamo qualche confronto con altre realtà europee: ci sono più disoccupati nel nostro meridione di quanti non ce ne siano in tutta la Germania! Là esiste un mercato dinamico che consente l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, nel Sud Italia non esiste mercato. Ma senza andare nei dettagli, prendiamo i dati demografici. Negli ultimi 27 anni si è registrata una riduzione della popolazione residente pari al 12% in Molise, 11,7% in Basilicata, 11% in Calabria. A fronte di ciò in Lombardia i residenti sono aumentati del 12%, in Emilia di oltre il 13%, in Trentino del 19,4%. Basta leggere queste percentuali per capire come stiano le cose. La demografia racchiude tutto e permette di capire se una comunità gode di buona salute oppure no, perché quei dati indicano se in una certa comunità c’è propensione ad emigrare o a restare; se esiste l’inclinazione a mettere al mondo figli per farli crescere sul posto oppure no; se quella realtà ha caratteristiche tali da attirare capitale umano; se ci sono possibilità di generare benessere, e via dicendo. Purtroppo l’immagine demografica di alcune regioni meridionali rispetto ad altre parti d’Italia corrisponde a due mondi diversi. Lo posso dire io, che sono di Reggio Calabria.

 

Il numero dei residenti cala, ma non cresce il numero degli occupati. Sembrerebbe un controsenso, e invece?

Il punto è che, mentre molti se ne vanno, chi rimane è per così dire auto-selezionato negativamente, nel senso che non parte non perché sia attirato da qualche buona prospettiva di vita e di lavoro, ma perché non ha ambizioni, oppure è trattenuto sul posto da condizioni economiche o familiari che non gli consentono di trasferirsi. Insomma restano i più svantaggiati, mentre chi può fugge. In una situazione del genere, non servono nemmeno gli incentivi alle imprese affinché assumano al Sud, perché dovrebbero assumere i meno occupabili. Del resto i manuali di macro-economia spiegano che i sussidi, le de-contribuzioni e le legislazioni speciali di aiuto, se non sono perfettamente congegnate, non fanno altro che incrementare la disoccupazione di lunga durata. 

 

La sua visione sembra piuttosto pessimistica. Se non ci sono incentivi che possano smuovere le acque, tutto è destinato a restare com’è? Non ci sono rimedi? 

Vede, non è che un giovane di 18 o 19 anni se ne resta al Sud pensando che magari fra tre anni arriva un incentivo straordinario. Inoltre, mettiamoci dal punto di vista dell’impresa. Se gli incentivi vengono stanziati in presenza di un mercato del lavoro caratterizzato da un mis-match incorreggibile fra domanda e offerta, accade che l’impresa cerca una cosa e sul mercato ne trova un’altra. A quel punto ecco intervenire la controparte istituzionale proponendo all’azienda: se assumi, ti faccio lo sconto. Ma questo significa presupporre che la funzione di produzione delle imprese al Sud sia caratterizzata da una sostituibilità infinita tra fattori di produzione, per cui si può sostituire il capitale con lavoro anche scadente purché costi poco. Ma non funziona così. Se io per fare business in un certo contesto spaziale ho bisogno di infrastrutture efficienti, trasporti funzionanti, burocrazia snella, un contesto sociale con meno illegalità, e tutto ciò invece è assente, non serve a niente che mi siano concessi incentivi per assumere qualcuno che non sa fare ciò che a me interessa. In altre parole, la somma di due problemi non rappresenta una soluzione. A questo proposito devo dire che invece la strada buona può essere quella tracciata dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

 

Parliamo allora del PNRR e dell’impatto che può avere sul rilancio del Meridione.

Con il PNRR si possono fare passi avanti. La logica del PNRR infatti è quella di venire incontro alle esigenze locali. Dove serve sviluppare il livello di accessibilità (trasporti, logistica, etc.), lo Stato con i fondi europei offre accessibilità. Dove serve più formazione, fornisce istruzione e formazione. Mi soffermo un attimo su quest’ultimo punto, per sottolineare il divario nel grado di istruzione tecnico-professionale disponibile ad esempio in Emilia Romagna o in Calabria. Puntando su strumenti di meritocrazia, flessibilità, istruzione qualificata, con il PNRR qualcosa si può ottenere, perché si esce dalla logica dei sussidi. Noi abbiamo fatto uno studio sulla produttività multi-fattoriale nell’economia del Sud, considerando indici legati all’accessibilità, al capitale umano (cioè la qualità della formazione), ai servizi burocratici, al contesto sociale più o meno ispirato a criteri e prassi di legalità. E abbiamo stimato che se riusciamo a imprimere al Sud uno shock che, rispetto ai parametri sopra-enunciati, lo porti al livello delle più virtuose regioni settentrionali, avremo nell’insieme del Paese una crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) superiore al 10%. Questo vuol dire 178 miliardi di euro, ai prezzi del 2019.

 

Assomiglia ad un miracolo ….

E infatti per raggiungere quell’obiettivo, a parità di altre condizioni, occorrerebbero investimenti, riforme e tempo: dieci anni. Ma questa è la logica del PNRR che rifiuta la tendenza a rinunciare in partenza all’azione con la scusa che le difficoltà sono eccessive e i tempi troppo lunghi. Abbiamo bisogno di uno scatto che ci porti a raggiungere i livelli tedeschi di produttività media per occupato. Secondo noi le stime di ciò che si può ottenere realizzando il PNRR sono credibili. E chi si avvantaggerebbe di più, se l’economia italiana complessivamente crescesse del 10,4%? Il Sud, che muovendo da un punto di partenza assai inferiore rispetto alle altre regioni, potrebbe crescere del 23%.

 

Facendo un focus sul mercato del lavoro, quanto aumenterebbe l’occupazione al Sud se si realizzasse il miracolo di cui parlavamo?

In un rapporto di 0,7 a 1 rispetto alla produttività. In altre parole, se il PIL in Italia salisse del 10%, l’occupazione crescerebbe del 7%. E per quanto riguarda il Sud, se il Pil salisse del 23%, si avrebbe il 16% di occupati in più. Dunque l’impatto sui posti di lavoro sarebbe positivo, seppure proporzionalmente un po’ inferiore rispetto all’aumento della produttività. Naturalmente sono cifre da prendere con cautela. Affinché tutto ciò avvenga bisogna che si verifichino le condizioni di cui parlavo nelle precedenti risposte.

 

Dunque ogni speranza è appesa a una buona applicazione del PNRR. Secondo lei i primi segnali sono positivi? O c’è il rischio che l’occasione vada perduta?

Non ho informazioni specifiche per verificare autonomamente lo stato di avanzamento dei singoli cantieri e delle riforme già avviate. Ma mi fido di ciò che viene documentato dal governo, ed è già un fatto positivo che venga prodotta questa documentazione. Certo in questo atteggiamento fiducioso c’è una componente di wishful thinking, vale a dire che le aspettative sono in parte influenzate dalla speranza che un certo risultato si avveri. Ed è inevitabile sia così. Non esiste un piano B, e dunque devo credere nel piano A. Noi come Confcommercio ci crediamo e alle nostre associazioni territoriali diciamo che il PNRR è un grande progetto collettivo, al quale dobbiamo partecipare senza remore e distinguo. Se ci sono aggiustamenti da fare, li chiediamo, ma si va avanti.

 

La risposta degli imprenditori le sembra positiva?

Nell’insieme sì, anche se c’è sempre qualche problema burocratico da affrontare, oltre a una certa congestione sul versante della domanda. L’incrocio fra gli investimenti infrastrutturali del PNRR e il pacchetto complessivo di incentivi alla transizione energetica negli edifici (e non mi riferisco solo al famoso bonus del 110%) sta creando qualche collo di bottiglia, e ciò può provocare dei ritardi. Inoltre c’è la questione dell’incremento dei costi, che suscita in alcuni pool di imprese il dubbio se continuare a partecipare a certi progetti qualora i costi non siano aggiornati. Su questo versante però il governo ha già risposto che, pur senza ripensare il piano ex-novo, si possono mettere in atto meccanismi di aggiustamento e aggiornamento dei costi nei principali bandi. Quindi sono fiducioso.

 

Una potenziale risorsa del Sud è il turismo. Ciò vale per l’Italia nel suo complesso, ma nel Meridione che ha una rete alberghiera meno diffusa e forse almeno in alcune aree ha subìto minori devastazioni naturali, potrebbe essere l’occasione per uno sviluppo turistico eco-sostenibile? 

Ho qualche dubbio sul minore grado di violazioni all’ambiente nel nostro Sud. Prendiamo le coste. Certo ci sono pochi alberghi. Ma lunghissimi tratti sono permeati da un abusivismo abitativo che ha provocato danni enormi. Se ci sono poche strutture ricettive è perché lo spazio è stato preso dai privati. Certo la dimensione del fenomeno turistico al Sud è deludente. Il rapporto fra la spesa dei visitatori stranieri e la spesa totale per i consumi nell’insieme del Meridione s’aggira intorno al 2,3%, con punte negative dello 0,7% in Calabria. Al Centro tocca il 5,6%, nel Nord-Ovest il 3,6%, nel Nord-Est il 5%. Se noi riuscissimo nei prossimi tre-quattro anni, senza ricorrere a progetti faraonici, a portare la spesa dei turisti stranieri nel Meridione almeno agli stessi livelli del Nord-Ovest, guadagneremmo già fra un punto ed un punto e mezzo di Pil, a parità di altre condizioni. Ma se dal turismo passiamo a parlare della propensione a fare business al Sud più in generale, troviamo come siano purtroppo numerosi i fattori che frenano il potenziale imprenditore. La diffusione della micro-criminalità ad esempio (e quindi non mi riferisco solo all’usura e alle estorsioni dei gruppi organizzati) ha un impatto sul business. Se io voglio costruire un albergo sul litorale, non mi basta che il mare sia bello e pulito. Ho bisogno anche che il contesto sociale non sia turbato da delinquenza e violenza. E poi occorre che i servizi burocratici locali funzionino, e che la controparte istituzionale con cui ho a che fare sia reattiva. Quest’ultimo punto è particolarmente importante. Se devo pagare oneri di urbanizzazione, ho bisogno di sapere con certezza a quanto ammontano e in quali tempi devo contribuire. Ci deve essere chiarezza e gli accordi devono essere rispettati. Tutte cose che purtroppo spesso al Sud non accadono.

 

Ha parlato di micro-criminalità. Ma non è piuttosto la grande criminalità organizzata di tipo mafioso a frenare lo sviluppo al Sud?

Certo, ma non ho dati empirici per approfondire questo aspetto del problema. Chiaramente la mafia ha provocato disastri che continuerebbero a nuocere per altri 50 anni anche dopo la sua eventuale eliminazione. Noi come Confcommercio siamo in ottimi rapporti di collaborazione con la Polizia di Stato soprattutto per quanto riguarda il contrasto al fenomeno dell’usura. Ma quello che mi preme dire è questo. Per la crescita dell’economia ha grande importanza quello che si chiama capitale sociale, cioè la possibilità di realizzare agevolmente scambi reciprocamente vantaggiosi in un terreno privo di imbrogli organizzativi, dove vigono regole ragionevoli, efficaci e condivise. Al di là del danno che all’economia deriva dalla criminalità organizzata, ad impedire lo sviluppo è già sufficiente il danno che comporta il fatto di non poter agire in un contesto come quello che delineavo prima. E’ cioè sufficiente che sia diffusa l’idea che le regole sono flessibili e possono essere modificate e gestite come ci pare, per ridurre la propensione ad investire.

 

Riferendoci ora specificamente al mercato del lavoro, quali sono i principali difetti e rimedi, in particolare per quanto riguarda il Sud.

A parte tutto ciò che ho già detto, direi che bisognerebbe reintrodurre elementi di flessibilità che sono venuti a mancare ultimamente. Bisognerebbe quindi parlare dei voucher, delle causali scritte sui contratti a termine, etc. Mi si accuserà di voler favorire il precariato. Io penso invece che non si combattono il lavoro nero e le pratiche illecite con leggi più restrittive. Ora si vuole introdurre il salario minimo. Pensi cosa significhi lo stesso salario minimo a Milano e a Reggio Calabria, in un settore caratterizzato da elevata produttività e in uno a produttività minima.

 

Bisognerebbe secondo lei regionalizzare e settorializzare il salario minimo?

E allora non si potrebbe più chiamarlo salario minimo. Forse bisognerebbe fare invece uno sforzo per avvicinarsi a una situazione in cui abbiano efficacia erga omnes (per tutti) i contratti stipulati fra le organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative. In questo modo se ad esempio Confcommercio concorda con le rappresentanze sindacali certi minimi tabellari, questi valgono anche per i commercianti del Sud e si evita il ricorso ai contratti pirata firmati da organizzazioni poco rappresentative, che vanno ad ingrossare ill numero degli oltre 900 contratti attualmente registrati presso il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).



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