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Meno infortuni sul lavoro nel 2023, ma al netto dei casi “Covid” il calo si azzera

GIOVEDÌ 28 MARZO 2024 | Lascia un commento
Foto Meno infortuni sul lavoro nel 2023, ma al netto dei casi “Covid” il calo si azzera
Scritto da Gabriel Bertinetto

Il più delle volte i fari si accendono per mostrare un disastro avvenuto anziché per illuminare la strada che bisognerebbe percorrere al fine di evitare che il disastro avvenga. Sono state alcune recenti eclatanti tragedie, come il crollo in un cantiere del supermercato Esselunga a Firenze, a riportare all’attenzione generale il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro. Il problema spesso è strettamente interrelato alla regolarità dei contratti e degli appalti, come sembra risultare dai primi passi dell’inchiesta sul doloroso episodio avvenuto nel capoluogo toscano.

 

Nel clima di rinnovata sensibilità a questo tipo di vicende ha suscitato interesse la nuova normativa varata dal governo per punire i responsabili degli infortuni. Non è la prima volta che vengono presi provvedimenti in questo campo, e dunque è bene sospendere il giudizio sino a quando non si avranno prove della loro efficacia. Tra l’altro si registrano già critiche sia da parte imprenditoriale che da parte sindacale, mentre il giuslavorista Pietro Ichino afferma che “l’idea potrebbe anche essere buona ma richiederebbe di essere attuata attraverso la predisposizione di un progetto discusso adeguatamente. Fatta invece sull’onda della reazione emotiva al disastro senza passare né per il necessario vaglio della discussione fra gli esperti né per quello di una seria discussione parlamentare, si corre il rischio che il solo effetto sicuro sia quello di un appesantimento burocratico”. 

 

La misura che ha fatto più scalpore è l’introduzione di un sistema di “crediti” ispirato al modello delle patenti automobilistiche a punti, che per ora riguarderà solo l’edilizia, ma potrebbe poi essere esteso ad altri settori. Ogni ditta avrà una dotazione iniziale di 30 crediti, destinati a essere decurtati, in misura maggiore o minore, qualora si verifichino incidenti o violazioni delle norme di legge. Vengono inoltre inasprite le possibili sanzioni. Senza andare nei dettagli di un elenco alquanto lungo, gli importi delle multe sono aumentati del venti per cento qualora, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro abbia già subìto condanne per quel tipo di reati. Il decreto prevede l’arresto fino a un mese o un ammenda di 60 euro (un lieve incremento rispetto agli attuali 50) per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro in caso di “esercizio non autorizzato” da parte delle agenzie di somministrazione di lavoro. Salgono anche sino a un tetto di 4500 euro (dai massimi attuali di 3750) le eventuali multe per le agenzie di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale. 

 

Come è noto, il rischio di incorrere in penalità non rappresenta di per sé un deterrente sufficientemente persuasivo, a meno che non si accompagni ad una massiccia e oculata azione di controllo. Le annunciate assunzioni di nuovi ispettori potrebbero quindi corrispondere ad una buona notizia, solo se il futuro ci riserverà due belle sorprese: che le assunzioni avvengano per davvero, e che il lavoro dei nuovi e dei vecchi ispettori dia risultati positivi. L’esperienza infatti induce alla prudenza se non allo scetticismo. 

 

Dal 2017 i compiti ispettivi prima svolti da tre diversi soggetti (Ispettorato del Lavoro, Inps, Inail) sono affidati a un unico ente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), erede del primo dei tre istituti e destinato ad assorbire le attività ispettive degli altri due. L’INL come si legge sul sito ufficiale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “esercita e coordina sul territorio nazionale la funzione di vigilanza in materia di lavoro, contribuzione, assicurazione obbligatoria e di legislazione sociale, compresa la vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”. Si va insomma verso la nascita di una figura ispettiva poliedrica e multifunzionale, che assume su di sé i compiti che prima erano distribuiti fra operatori specializzati in questo o quello dei vari campi di intervento, dalle irregolarità contributive alle violazioni delle norme sulla sicurezza degli impianti.

 

Sicuramente positivi sono gli accordi per gli scambi di informazioni fra singoli istituti, come la convenzione con cui INAIL ha messo a disposizione di INL la propria banca dati. Ma l’idea di una centralizzazione e unificazione delle attività ispettive lascia perplessi alcuni studiosi. Edoardo Di Porto, docente di economia presso l’Università Federico II di Napoli, rileva ad esempio la diversa efficacia delle verifiche eseguite fra il 2010 e il 2020 dagli ispettori del Ministero e dell’Inps per quanto riguarda il recupero di contributi evasi. “L’Inps ha di fatto quintuplicato nell’arco di dieci anni la sua efficacia in termini di recupero contributi” a differenza dell’Ispettorato del Lavoro che ha ridotto sia il numero di ispezioni che la loro efficacia. Lo studioso osserva inoltre che l’unificazione delle attività ispettive sia “in controtendenza” rispetto a quanto accade negli altri Paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Ad esempio negli Usa l’OSHA (Occupational Safety and Health Administration) “pianifica e conduce ispezioni per la sicurezza nei luoghi di lavoro, mentre a quelle per le frodi sovrintende OIG (Office for Inspector General) del Department of Labor”. Lo stesso accade in Gran Bretagna, dove le due attività competono rispettivamente allo Health and Safety Executive ed all’Employment Agency Standard Inspectorate.

 

Tornando alla situazione italiana, gli ultimi dati dell’INAIL mostrano una crescita sia degli infortuni sul lavoro sia delle malattie professionali denunciate nel primo mese di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2023. In cifre assolute in gennaio gli infortuni sono stati 42.166 con un incremento del 6,8%. La maggior parte dei casi riguarda l’industria e i servizi, ma in termini percentuali gli incrementi sono stati maggiori nell’agricoltura (oltre il 9%) e negli impieghi statali (quasi il 18%).

 

Forse più significative sono però le cifre riguardanti l’intero 2023, dalle quali a una prima lettura emergerebbe una realtà tanto gradita quanto forse inattesa: le denunce di infortuni sono diminuite del 16,1% rispetto al 2022. In realtà la comparazione tra le due annate è viziata dalla diversa incidenza che il Covid (considerato dall’Inail come infortunio e non malattia professionale) ha avuto nell’uno e nell’altro periodo: dagli 111mila casi del 2022 si è passati a meno di 6mila del 2023. Un autentico crollo. Se si detraggono gli infortuni “Covid” il totale del 2022 scende da poco meno di 700mila a circa 586mila, e quello del 2023 da 585.000 a  579.000. Al netto dei casi Covid insomma il calo degli infortuni sostanzialmente si azzera.

 

Scende lievemente anche il numero degli infortuni mortali. Sia nel conteggio totale (da 1090 a 1041) sia in quello effettuato al netto dei casi “Covid” si registra una diminuzione compresa fra il 4 e il 4,5%. Ciò che invece non cala ed anzi cresce notevolmente è la quantità delle denunce di malattia professionale. Dalle 60.774 del 2022 si è saliti alle 72.754 dell’anno passato. L’incremento sfiora il 20%. Non si registrano variazioni significative da un anno all’altro quanto alla distribuzione delle malattie professionali fra i sessi (oltre il 70% sono ancora uomini) e le aree geografiche (le regioni centrali continuano a fare la parte del leone con quasi il 37%, più di quelle settentrionali che arrivano intorno al 28%, mentre le isole totalizzano il 9% e il sud il 25%). Più significative sono le variazioni rispetto al tipo di patologia. Si amplia la mole di infermità legate al sistema osteo-muscolare e al tessuto connettivo (22% in più rispetto al 2022). Forte l’incremento delle malattie nervose (+12%) e dei tumori (quasi il 24% in più). Insomma accanto alle malattie professionali di tipo “tradizionale” legate allo sforzo fisico (ossa e muscoli) si diffondono sempre più quelle connesse ai modi di vita “moderni”, comprese le neuropatie.

 

Interessante allargare lo sguardo oltre confine e collocare la situazione italiana in un contesto europeo. Lo scorso mese di maggio la Commissione Europea ha organizzato un vertice a Stoccolma per valutare la situazione sanitaria nella UE rispetto al “Quadro strategico per la salute e la sicurezza sul lavoro 2021-2027” varato nel giugno 2021. In tale occasione è stato presentato un rapporto dell’”Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro” che a sede a Bilbao. Per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro il documento registra un notevole calo in ambito Ue fra il 1998 e il 2019: 58% in meno. Il trend sarebbe confortante, se non fosse che il calo si è verificato quasi tutto nel primo decennio, mentre nel secondo si è assistito ad una sostanziale stagnazione.

 

Le cifre in valori assoluti sono comunque impressionanti. Ogni anno in Europa avvengono oltre 230mila infortuni gravi (tremila dei quali letali) e 180mila persone muoiono a causa di un morbo contratto sul luogo di lavoro. Un aspetto messo in luce dal documento è che per quanto riguarda i decessi, le cause attraverso il passare degli anni rimangono in prevalenza le stesse, vale a dire funzionamento o uso scorretto di attrezzature e macchinari nel caso degli infortuni, esposizione ad agenti patogeni per le malattie. La conclusione che ne traggono gli esperti è che la madre di tutte le cause sia da cercarsi nella cattiva organizzazione del lavoro e nella carente attuazione di misure preventive.

 

C’è di più. L’analisi dell’Agenzia UE di Bilbao sottolinea come siano profondamente cambiate le condizioni di lavoro, in direzione di una accresciuta flessibilità e frammentazione dei rapporti di lavoro. Ciò rende in parte obsoleti i due strumenti suggeriti dalla direttiva quadro europea del 1989 sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, successivamente recepita nelle legislazioni nazionali. Uno di questi strumenti è il “Servizio di prevenzione e protezione”, cioè un gruppo di persone interne o esterne all’azienda incaricate dal titolare di assisterlo per mettere in atto iniziative a tutela della salute dei lavoratori. L’altro è il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, scelto dai dipendenti con il compito di controllare che in azienda siano rispettate le regole in materia di sicurezza. Gabriella Galli, esperta nella prevenzione dei rischi connessi al lavoro, e collaboratrice dell’Agenzia di Bilbao, sostiene che bisogna tenere conto dei nuovi scenari nel mondo del lavoro, per cui all’ottica aziendale andrebbe affiancata un’ottica territoriale. Le figure operanti ai due livelli “dovrebbero intrecciare strette relazioni e offrire ai lavoratori e alle imprese un supporto per la individuazione, valutazione e gestione dei rischi”.



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