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Più asili nido ma anche più donne al potere: così per l’economista De Romanis si può incentivare il lavoro femminile

GIOVEDÌ 04 AGOSTO 2022 | Lascia un commento
Foto Più asili nido ma anche più donne al potere: così per l’economista De Romanis si può incentivare il lavoro femminile
Scritto da Gabriel Bertinetto

In Italia solo una donna su due è occupata, molto meno rispetto alla media europea. Fra le ragioni di questo ritardo spicca la carenza degli asili nido e delle strutture per la cura degli anziani. Ciò spinge molte donne a rinunciare al lavoro. In questa intervista la professoressa Veronica De Romanis, che insegna Politica Economica Europea all’Università Luiss di Roma, analizza il problema e confronta la nostra realtà con quella di altri Paesi come la Germania dove, grazie a forti investimenti infrastrutturali, la natalità è tornata a crescere insieme all’occupazione femminile. Ma è importante che un numero maggiore di donne ascenda a ruoli di potere.

 

Ci sono aspetti della realtà economica e sociale del nostro Paese che sembrano impermeabili al flusso di qualunque rinnovamento. Uno di questi è il rapporto fra donne e lavoro, Le cose stanno davvero così, professoressa De Romanis, oppure sono in corso mutamenti positivi?

In realtà dei mutamenti ci sono stati quando sono state introdotte delle regole. Posso fare l’esempio delle cosiddette quote rosa. Prendiamo il caso dei Consigli di Amministrazione Aziendale (CDA), dove per presenza femminile ora siamo ai primi posti in Europa. Certo il meccanismo delle quote in se stesso non piace a nessuno. E’ una distorsione, e quindi deve essere uno strumento temporaneo. Però è un fatto che nel caso dei CDA ha funzionato come un incentivo a cercare sul mercato delle donne con le competenze necessarie a ricoprire quei ruoli. Naturalmente non possiamo accontentarci dei risultati ottenuti con i CDA, che costituiscono una porzione molto specifica e limitata del mondo del lavoro. Bisogna estendere le quote ad altri ambiti, e bisogna creare un terreno favorevole allo sviluppo del lavoro femminile, con iniziative culturali e con il potenziamento degli asili nido. Importante poi è fornire degli esempi, dei modelli positivi ai quali le donne possano ispirarsi sin dall’età infantile: donne di successo, donne di potere. Purtroppo sono casi poco numerosi.

 

Quali sono le ragioni strutturali della difficoltà a aprire maggiori spazi per il lavoro femminile nella società italiana?

Uno dei motivi più importanti è che a fare le leggi per lo più sono uomini, e sono gli uomini ad avere in mano i cordoni della spesa. Prenda il ministero dell’Economia. Nel nostro Paese, storicamente, tutte le figure apicali sono maschili: dal Ministro al Direttore Generale al Ragioniere Generale dello Stato. Non sorprende così che dei 200 miliardi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) solo 4 siano stati destinati alle infrastrutture per gli asili nido. Certo è un passo avanti. Ma si poteva fare di più, considerando che la copertura del servizio di asili nido in Italia è assai inferiore alla media europea. Siamo intorno al 25%, con una distribuzione a macchia di leopardo. Al sud la percentuale scende all’8-9%. La mancanza di asili nido accentua le disuguaglianze, mentre nei Paesi dove sono più diffusi le opportunità lavorative per le donne aumentano.

 

Il confronto don il resto d’Europa è spesso impietoso. Vediamo ad esempio il part-time. Altrove è molto diffuso fra le donne senza che ciò sia considerato una pecca, una menomazione. Da noi invece viene visto come l’effetto di una discriminazione. Ci spieghi perché.

La ragione è semplice. Noi siamo ai primi posti delle classifiche per quanto riguarda il part-time involontario, e così pure nelle graduatorie della differenza di ricorso alpart-time volontario fra uomini e donne. In altre parole sono tantissime le italiane che vorrebbero lavorare a tempo pieno e magari svolgere altre mansioni, ma non possono perché scarseggiano le strutture, le scuole a tempo pieno, gli asili nido. Molte donne finiscono con l’avere una vita lavorativa a intermittenza, il ché produce alla lunga un esercito di pensionate povere. Si allunga la speranza di vita, ma non di vita lavorativa. E’ tutto collegato. Se ci sono più infrastrutture, si hanno più opportunità lavorative e migliori carriere femminili. Ci vuole consapevolezza, bisogna che più donne coprano posti chiave, che si inneschi un circolo virtuoso che ci porti al livello di altre realtà europee. Si dovrebbe insomma fare quello che avviene in molti altri Paesi, dove la capillarità delle strutture d’assistenza per l’infanzia, per gli anziani, per la cura delle persone favorisce una maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro e ha per effetto un incremento del tasso di natalità, che da noi invece resta molto basso, intorno all’1,2%. La carenza di quelle strutture in Italia induce le donne a mettere al mondo meno figli. Se non invertiamo la tendenza, non sarà a rischio la sostenibilità dei conti degli istituti previdenziali, ma dei conti in generale.

 

Ha parlato prima della scarsità di esempi positivi come fattore che frena un maggiore accesso femminile al mercato del lavoro. Vuole approfondire questo concetto? 

Certo. E’ un problema culturale che ha conseguenze pratiche negative. In sostanza la società italiana difetta di modelli ai quali le donne possano ispirarsi. Sono troppo poche le donne che svolgono ruoli importanti. Questo aspetto della realtà è venuto clamorosamente alla luce durante la pandemia. Sappiamo come le donne in generale siano state più penalizzate rispetto ai maschi dalla chiusura delle scuole. La DAD (didattica a distanza) ha creato problemi imprevisti di gestione familiare che sono ricaduti per lo più sulle mamme piuttosto che sui papà. Però a gestire la crisi pandemica erano quasi unicamente maschi. Ed io non credo proprio che non ci fossero dottoresse, ginecologhe, psicologhe da inserire nei vari organismi di controllo e di guida. 

 

Lei ha accennato prima al PNRR, dicendo come siano scarsi i fondi per il potenziamento degli asili nido. Quei pochi fondi sono stati almeno usati bene?

Qui c’è un punto interrogativo. Mi risulta che alcune regioni meridionali non abbiano partecipato ai bandi per la creazione di nuovi asili nido. Certo c’è un problema di know-how (competenze) degli enti locali, e anche di scarso interesse. Purtroppo è propio al Sud che le donne lavorano di meno, ed è quindi al Sud che ci sarebbe maggiore necessità di asili nido per avviare un circolo virtuoso che crei più occupazione.

 

Serve dunque intervenire sul welfare. Che altro?

Soprattutto bisogna potenziare la formazione scientifica. Gli studi etichettati come STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) sono insufficientemente valorizzati in Italia, anche se sono proprio le discipline che aprono la strada alle nuove professioni. Paradossalmente abbiamo più laureate che laureati, ma le facoltà scelte dalle donne sono per lo più quelle cosiddette umanistiche. Bisogna svolgere un’attività educativa che incoraggi le giovani studentesse a non trascurare le materie scientifiche come se non appartenessero all’universo femminile. Questo dovrebbe avvenire sin dalle elementari. 

 

Ci sono stati secondo lei negli ultimi anni dei provvedimenti utili a sviluppare l’occupazione femminile?

Sì, qualcosa è stato fatto. Ho citato prima le norme sulle quote. Potrei aggiungere i fondi per l’imprenditoria femminile e le risorse stanziate dal PNRR. Ma bisogna fare molto di più. I dati italiani sono agghiaccianti. Se non si incrementa il lavoro femminile, ne derivano a catena una serie di conseguenze negative, ognuna incidendo negativamente sull’altra: meno PIL (Prodotto Interno Lordo), più disuguaglianze, inferiore crescita demografica. Non è colpita solo la parità di genere, ma la ricchezza complessiva. Eppure sulla natalità si può agire, ottenendo risultati anche in tempi brevi, come è accaduto in Germania.

 

Che hanno fatto in Germania?

In soli 5 anni sono riusciti a invertire la curva demografica. E’ avvenuto ai tempi in cui il ministero della famiglia nel governo Merkel era affidato all’attuale Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. La ricetta utilizzata fu l’allocazione di ingenti risorse per potenziare gli asili nido e le infrastrutture di cura. La cosa curiosa è che a varare quelle misure fu un partito conservatore, che in parte ancora si ispirava al modello tradizionale delle 3K: kinder, küche, kirche (figli, cucina, chiesa).



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