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Un argine agli eco-disastri: in Italia 3 milioni di “green jobs”

GIOVEDÌ 25 GIUGNO 2020 | Lascia un commento
Foto Un argine agli eco-disastri: in Italia 3 milioni di “green jobs”
Scritto da Gabriel Bertinetto

Sperimentiamo quotidianamente sulla nostra pelle l’impatto negativo dell’inquinamento ambientale, e siamo continuamente esposti ai giusti allarmi sugli squilibri climatici che minano la sopravvivenza del genere umano e di altre specie animali sul pianeta terra. 

Saremo quindi a maggiore ragione piacevolmente sorpresi nell’apprendere quanto siano in crescita in Italia i cosiddetti “green jobs”, cioè i lavori che, per usare la definizione dell’UNEP (United Nations Environment Programme), “contribuiscono in maniera incisiva a preservare o restaurare la qualità ambientale”. 

Uno studio pubblicato l’anno scorso da Unioncamere e dalla Fondazione Symbola calcolava in 3 milioni e 100 mila il numero delle persone che in Italia svolgono mestieri etichettabili come “green” (verdi). In percentuale quella cifra corrisponde al 13,4% dell’occupazione complessiva. Sono valori notevoli, non solo se considerati in se stessi, ma anche perché indicativi di una tendenza costante. Nell’arco del quinquennio 2014-2019 si è infatti registrato un incremento del 5,3%. 

Se poi si allarga la visuale al panorama continentale, lo scenario offre altri segnali confortanti. Secondo Eurostat, l’ufficio statistico della UE (Unione Europea), la crescita occupazionale “verde” nell’ultimo quindicennio ha sfiorato il 50%, mentre nell’insieme degli altri comparti si è limitata ad un ben più modesto 6%. Il fatturato delle attività green in ambito UE si aggira intorno ai 700 miliardi e nelle stime dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro, con sede a Ginevra) costituisce oltre il 2% del prodotto interno lordo globale. 

Tornando al di qua delle Alpi, è di buon auspicio per il consolidamento dell’economia verde l’elevato numero di aziende, ben 300mila, che nel corso del 2019 hanno effettuato investimenti a carattere ecologico. Parliamo di investimenti sia sul prodotto che sulle tecnologie. 

 

Leggi anche: "Digitalizzazione del settore agroalimentare: nuove sfide e opportunità di lavoro"

 

Un esempio significativo dei progressi compiuti verso più alti livelli di economia “sostenibile” si trova nel campo degli apparati fotovoltaici che nel nostro Paese nell’arco di dieci anni a partire dal 2009 sono passati da 70mila a 820mila, e, dato ancora più significativo, sviluppano oggi una potenza superiore ai ventimila MW rispetto ai mille MW di dieci anni fa.

Va detto che la categoria dei “green jobs” abbraccia una vasta gamma di attività, dall’agricoltura all’industria manifatturiera, dalla ricerca ai servizi. Vengono subito in mente le coltivazioni “bio”, le pale per lo sfruttamento dell’energia eolica, le vacanze eco-compatibili. Ma esistono altre mansioni, per così dire meno visibili ad occhio nudo, eppure funzionali allo sviluppo di un sistema produttivo eco-compatibile. I giuristi ambientali ad esempio sono sempre più utilizzati come consulenti per conformarsi alle norme a tutela dell’ambiente, quando si intenda avviare un’attività produttiva o acquistare terreni e immobili. Altra professione in crescita (sono già almeno 2500 in Italia) è quella del manager ambientale, che ha il compito di ottimizzare l’uso dei materiali e delle risorse energetiche in azienda, al fine di minimizzare gli sprechi, ridurre le emissioni nocive, limitare la produzione o diffusione di materiali non riciclabili (a partire dagli involucri in plastica), etc. 

Un dato particolarmente interessante per chi aspiri a svolgere un mestiere verde è la buona probabilità di essere inquadrato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Hanno questa caratteristica quasi metà delle assunzioni per impieghi “green” messe in cantiere dalle imprese italiane nel 2019. A dirlo è ancora UnionCamere, l’ente che raggruppa le Camere di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura, secondo cui la quota di contratti senza vincolo di durata previsti per altre figure professionali scende invece a un quarto.

Questo rappresenta un aspetto certamente allettante dal punto di vista del lavoratore. Sull’altro piatto della bilancia sta l’elevato livello formativo richiesto. L’identikit dell’operatore “green”, così come risulta dai contratti tipo esaminati nello stesso studio, comprende in più di un terzo dei casi il possesso di una laurea. Per impieghi di altro genere lo stesso requisito è preteso da meno di un decimo delle ditte. Un discorso simile riguarda anche l’esperienza lavorativa settoriale, che il datore di lavoro considera elemento discriminante nel reclutamento di operatori verdi molto di più di quanto avvenga per altri impieghi: circa un terzo e meno di un quinto, rispettivamente. 

Altra caratteristica importante, direttamente collegata ai precedenti, è la qualità innovativa delle mansioni che interessano al datore di lavoro. E’ significativo che sul totale delle assunzioni previste nel 2019 in Italia nel campo della ricerca e della progettazione, ben due terzi riguardassero i lavori verdi.  

La relativamente alta qualificazione che contraddistingue buona parte dei “green jobs” è alla base di un fenomeno, che nel quadro appena descritto rappresenta un elemento meno incoraggiante. L’incontro fra domanda e offerta di lavoro è assai più complicata in questo mondo che in quello degli impieghi tradizionali: più del 40% nel primo caso, meno del 25% nel secondo. Evidentemente lo sviluppo dell’economia green pone una sfida al sistema scolastico e formativo nazionale. Le potenzialità di crescita sono notevoli ma il gap da colmare in termini di preparazione e addestramento è ancora alto. 

 

Consulta anche: “Largo al green: le giovani imprese italiane che dicono sì al risparmio e alla salvaguardia dell'ambiente

 

La statistica è uno strumento utilissimo per fotografare l’esistente e può servire anche a immaginare il futuro. Qui però i margini di aleatorietà sono un pericolo sempre incombente. All’inizio del 2020, nel mese di febbraio, UnionCamere rielaborando i dati forniti dall’Istat, pronosticava un autentico boom dell’economia green, con una previsione di 1 milione e 600mila nuovi posti di lavoro proiettata sugli anni immediatamente a venire. 

L’analisi non aveva fatto i conti con un elemento allora insospettabile, e cioè l’esplosione della pandemia che ha messo in ginocchio l’economia dell’intero pianeta. Gli autori dello studio hanno rifatto i calcoli ed ora prefigurano sviluppi assai meno promettenti. Anziché ad un aumento assisteremo, per lo meno come effetto immediato, ad un calo occupazionale nel mondo “green” pari a circa 420mila unità. La crisi colpirà sia i lavoratori autonomi (circa 190mila) sia i dipendenti (230mila). 

Non c’è da sorprendersi. Il fenomeno si inquadra nel generale e diffuso pesante ridimensionamento produttivo post-Covid, che induce alcuni istituti di ricerca a predizioni catastrofiche: 59 milioni di cittadini europei rischiano di perdere il lavoro secondo la società internazionale di consulenza manageriale “McKinsey”.

Tuttavia conforta apprendere che, almeno a livello percettivo, gli imprenditori “green” italiani vedano nel disastro provocato dal virus anche un’occasione di riscatto. Più del 60% ritiene che si rafforzerà la presa di coscienza di quanto sia necessario affrontare il problema dello sviluppo in un’ottica eco-compatibile. Non solo, una volta subìto l’immediato inevitabile crollo occupazionale, i “green jobs” torneranno ad aumentare ad un ritmo che nel prossimo quinquennio potrebbe superare il 25%. 

Molta fiducia è riposta dagli stessi soggetti nell’azione delle istituzioni europee e in particolare nel cosiddetto “Green Deal” proposto dalla presidente della Commissione Ue Ursula von Der Leyen: mille miliardi di investimenti verdi da realizzare da qui sino al 2030. Un piano colossale, che induce a ben sperare, anche se, così come le previsioni statistiche possono essere smentite da eventi inattesi, sui più seducenti programmi e impegni rivolti al futuro grava l’incognita di dinamiche politiche che possano ostacolarne l’attuazione.

 

Per approfondire: "Smart working e salvaguardia dell'ambiente: il lavoro agile può aiutare l'ecosostenibilità?"



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