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Video-presentazione utile a chi cerca lavoro, soprattutto se ben confezionata: l’esperienza del manager Roberto Savini Zangrandi

MERCOLEDÌ 20 GENNAIO 2021 | Lascia un commento
Foto Video-presentazione utile a chi cerca lavoro, soprattutto se ben confezionata: l’esperienza del manager Roberto Savini Zangrandi
Scritto da Gabriel Bertinetto

Tanti sono i fattori che ostacolano l’avvicinamento fra domanda e offerta di lavoro: errori da parte di chi cerca un impiego, arretratezza comunicativa di chi lo offre, carenza di soggetti mediatori che favoriscano l’incontro. Ne parla in questa intervista una persona assai competente in materia, il Dr. Roberto Savini Zangrandi, manager di lungo corso. Una carriera iniziata come responsabile delle Risorse Umane all’Alitalia nel 1980, e proseguita come Direttore del Personale ed Organizzazione in 4 diverse grandi aziende dal 1990 al 2012, e poi Direttore Generale di Quadrifor sino al 2020. Attualmente è Executive Board Member di Compassion Italia Onlus e Compassion Spagna. Compassion è una delle più importanti associazioni di Global Charity mondiali, che vanta l’adozione a distanza di oltre 1,8 milioni di bambini in 25 Paesi. 

Secondo l’intervistato l’importanza di siti e portali come AppLavoro.it ed altri, è accresciuta proprio dalle particolarità del mercato del lavoro italiano. Utile la video-presentazione, soprattutto se ben fatta. 

Dr. Savini, può descrivere come sia evoluta nel tempo la dinamica dei rapporti fra chi cerca e chi offre lavoro, con particolare riferimento alle modalità e alle tecniche di auto-presentazione da una parte e di selezione dall’altra. Lo chiedo a lei perché nella sua quarantennale esperienza di manager, spiccano ben 22 anni nelle vesti di Direttore del Personale e dell’Organizzazione presso Unione Italiana di Riassicurazione, Swiss Reinsurance Company, Lottomatica, Consorzio per il Sistema Informativo. Non a caso Lei ha anche presieduto a lungo l’AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale).

Il compito che si trova di fronte chiunque si proponga per un’assunzione è questo: come mi differenzio da altri che nutrono la mia stessa ambizione? E ancora: sono interessato a quel tipo di lavoro in generale, oppure a quella specifica organizzazione alla quale mi rivolgo? Ciò detto, se risalgo nel tempo ai primi curricula che mi capitavano fra le mani all’inizio della carriera, rivedo dei testi scarni, piatti, in cui c’era ben poco al di là delle notazioni anagrafiche. Se venivano menzionate esperienze vissute, erano accenni, poco più che titoli. Nulla o quasi riguardo interessi personali, come se ci se ne vergognasse. Un diplomato che avesse fatto per qualche tempo il cameriere a Londra o a Velletri, preferiva nascondere quell’esperienza come un grave peccato piuttosto che valorizzarla come segno di versatilità e disponibilità. A fatica si riempiva una paginetta. Ma quelli erano tempi in cui il lavoro abbondava, ed era meno assillante la competizione per un posto di lavoro fra i neo-diplomati o fra coloro che avevano completato gli studi universitari. Nel mio caso ad esempio, appena laureato in legge, mi furono offerte ben 4 diverse opportunità, e toccò in un certo senso a me scegliere. 

Altri tempi. Poi che è successo?

Diciamo che per chi cerca lavoro è progressivamente cresciuta la necessità di distinguersi dagli altri che hanno la stessa aspirazione. Sempre più importante è diventato mettere in evidenza non solo i titoli di studio, ma le esperienze già fatte, il modo in cui hai affrontato i problemi e i risultati che hai conseguito. Non solo, e questo vale soprattutto per chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro e non ha esperienze pregresse, è utile indicare nel curriculum aspirazioni, interessi, passioni, attitudini, conoscenze di vario genere e delle lingue in modo particolare. Così l’azienda capisce meglio chi sei. Naturalmente poi quando si arriva alla resa dei conti, bisogna essere in grado di confermare nei fatti quanto si è affermato di se stessi, perché il bluff prima o poi viene fuori. Ancora oggi l’approccio di molti giovani o meno giovani al mercato del lavoro è assai faticoso. Se provieni da un ambiente famigliare colto, evoluto, magari sai che devi presentarti in un certo modo. Ma ci sono tanti che nella ricerca di un impiego si muovono come passerotti sperduti. E parlo anche di persone qualificate, tecnici con una lunga pratica lavorativa. Nel momento in cui la loro ditta chiude, non sanno assolutamente che pesci pigliare. E invece è molto importante quello che viene chiamato il “personal branding”, cioè il  modo di presentarsi differenziandosi dagli altri. Ho visto che AppLavoro.it. promuove questo tipo di approccio.

 

AppLavoro.it incoraggia la video-presentazione, che sta diventando sempre più il marchio distintivo del portale. In un breve filmato il soggetto illustra se stesso, le proprie capacità, esperienze, ambizioni, arricchendo il curriculum scritto con l’intensità espressiva dell’immagine e del sonoro. Cosa pensa della video-presentazione, dr. Savini? Strumento utile?

Ho notato che fra le tante video-presentazioni ospitate sul portale, AppLavoro.it offre giustamente una scelta di quelle meglio confezionate. E infatti la questione è proprio questa. Il video-curriculum è un ottimo strumento, se realizzato bene. Altrimenti si tramuta in autogoal. Questo vale anche per il curriculum scritto tradizionale. Ci vuole un certo mestiere per comporlo in maniera da destare l’attenzione dell’esaminatore. Nel caso del filmato il rischio del boomerang è forse maggiore, perché certi difetti comunicativi ne risultano esaltati. 

 

Dunque la video-presentazione da sola non basta?

Sicuramente può integrare bene il curriculum scritto. Ma è importante abbia alcune caratteristiche. Per catturare l’attenzione deve essere breve. Il ché rende complicato lo sforzo di concentrare in pochi minuti l’esposizione chiara e completa delle proprie competenze ed esperienze. L’autore deve maneggiare con cura abbigliamento e gestualità, e curare l’aspetto luminoso e acustico del filmato. La video-presentazione si adatta meglio ai tipi estroversi, che trovano negli altri la propria fonte di energia, piuttosto che agli  introversi che questa fonte la trovano in se stessi. Come dicevo prima, anche il curriculum scritto può essere, e spesso effettivamente è, redatto in maniera inefficace, ma è relativamente più agevole evitare errori marchiani, se ci si affida a modelli standard, benché questi lascino poco spazio all’inventiva.  

A cosa bisogna prestare attenzione nel candidarsi a un certo posto di lavoro?

Bisogna in primo luogo avere consapevolezza delle peculiarità del sistema economico italiano, dove il 90% delle imprese ha meno di 10 addetti, e solo 4000 ne hanno più di 250. Un fenomeno che viene talvolta definito “nanismo industriale”. Chi si muove in questo contesto deve avere ben chiaro in mente a chi intende indirizzarsi, a quale tipo di azienda: grande, piccola, media, familiare. Secondariamente occorre valutare se rivolgersi a quel tale datore di lavoro perché si sa che ha in cantiere un piano di nuove assunzioni, oppure perché si è interessati a quel particolare tipo di attività. Se poi, per fare un esempio, la tua predilezione per la Green Economy non è generica, ma riferita a una specifica ditta, è importante adattare il tuo curriculum, scritto o filmato, al destinatario. Devi studiare il potenziale datore di lavoro, e capire in quale modo puoi rappresentare per lui un valore aggiunto, come puoi aiutarlo a risolvere i problemi aziendali. Soprattutto se sei privo di esperienze nel campo, è importante sapere spiegare cosa ti spinge lì.

 

Si può essere maldestri nella ricerca di un lavoro. E magari trovarsi di fronte all’incompetenza o superficialità di chi opera sull’altro fronte? 

Certo esiste anche il tema della qualità dei selezionatori. Mi è capitato di portare in azienda certi individui, perché era mia abitudine esaminare con attenzione ogni profilo, così da scoprire talvolta delle informazioni che me lo rendevano interessante all’insaputa, per così dire, dell’autore del curriculum. Il quale non poteva essere al corrente che a noi, in quel particolare momento, interessavano certi particolari aspetti della personalità o certe esperienze da lui indicati. Più in generale però in Italia il problema è quello di cui parla il prof. Piero Ichino in un’intervista sul vostro blog: manca un’adeguata mediazione fra domanda e offerta di lavoro.

 

Può sviluppare questo tema?

C’è molto più lavoro in Italia, potenzialmente, di quanto non sembri. Quello che manca sono strumenti che da un lato consentano all’imprenditore di rendere note le sue esigenze e sull’altro versante permettano l’accesso a queste informazioni. Ci sono 540 Centri per l’Impiego in Italia, e sarebbero una cosa meravigliosa se lì ci fosse un consulente in grado di dire a me che cerco lavoro, quali sono le aziende che hanno bisogno delle mie competenze ed esperienze e sia in grado di incrociare i dati in maniera da offrirmi delle opzioni. Ma questi Centri funzionano male. Aggiungiamo che alcune organizzazioni imprenditoriali sono molto carenti nel pubblicizzare le richieste o i progetti dei loro iscritti. Il risultato è che il reclutamento, soprattutto nelle piccole aziende, avviene molto spesso per conoscenza personale diretta, segnalazioni, passaparola. Secondo una indagine recente questo vale addirittura per oltre un terzo delle imprese. Per fortuna sul web operano entità come Linked-in, o certi siti che suppliscono in parte alle tare del nostro mercato del lavoro, alla debolezza dei Centri per l’Impiego. Ho guardato AppLavoro.it. Mi piace, ha un carattere molto operativo, ed è importante che dia spazio ai più diversi mestieri e forme di occupazione, perché soprattutto i giovani, ma non solo, devono essere aperti alla possibilità di svolgere vari tipi di lavoro e non concentrarsi unicamente su un obiettivo.

 

Nelle sue osservazioni emerge la distinzione fra grandi e piccole imprese. Due mondi diversi anche per quanto riguarda la selezione del personale?

Sono realtà diverse certo, rispetto alle quali l’individuo in cerca di lavoro a volte si pone in maniera sbagliata. Prendiamo un tecnico informatico. Tendenzialmente è portato a indirizzarsi verso le grandi società come Microsoft Italia, Google Italia, Sogei, etc., trascurando le tante piccole imprese che operano nel settore. Questo può essere un errore. In una recente intervista Jack Ma, il fondatore del colosso elettronico cinese Alibaba, ha svolto questo ragionamento. Se vengo assunto in una grande compagnia, acquisisco sì una visione complessiva, ma il mio contributo rimarrà settoriale. Faccio un esempio banale. Se lavoro in una mega-azienda che produce tavoli e io sono addetto alle colle, imparerò a fare le colle senza nulla sapere del resto della lavorazione. Se l’impresa è minuscola sarà molto più naturale che oltre alle colle apprenda a maneggiare le viti, i chiodi di legno, le pialle, etc.  Insomma in una piccola azienda sarò più facilmente coinvolto nell’intero processo produttivo. Questo si riflette anche nel rapporto personale fra dirigente e dipendente, al momento dell’assunzione e dopo. In una piccola azienda, sempre che il titolare non sia persona ottusa, è più facile essere ascoltati e divenire partecipi. Venendo più specificamente alle tecniche moderne di arruolamento in uso presso le grandi aziende, sempre di più si va diffondendo il ricorso ad algoritmi, che estrapolano dal tuo curriculum, scritto o sonoro, i termini che interessano per  valutarti. Molto utile, molto comodo. Il selezionatore risparmia tempo. Viene meno però l’aspetto intuitivo della scelta, che è altrettanto importante. Rispetto poi a una video-presentazione, rischia di esserne trascurata la valenza grafica, a meno che l’algoritmo sia talmente raffinato da rilevare anche questo aspetto. 

 

Fra algoritmi e video-presentazioni l’innovazione tecnologica sta rivoluzionando le modalità e le tecniche dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Altri esempi?

Potrei citarle quanto avviene in Finlandia. Il Comune di Helsinki ha stabilito che i curricula siano “ciechi”. Non possono contenere dati che normalmente vengono spontaneamente inseriti dal compilatore: nome, età, sesso, fede religiosa, nazionalità. Si possono menzionare solo titoli di studio, competenze, esperienze professionali, interessi culturali, fra l’altro senza riferimenti temporali da cui si riesca ad inferire l’anzianità del soggetto. A ogni curriculum corrisponde un numero e il primo massiccio screening avviene su quella documentazione anonima ed asettica. Questo è importante perché il selezionatore, per quanto cerchi di operare con la mente sgombra da preconcetti, inevitabilmente e inconsapevolmente è condizionato da categorie mentali precostituite.

 

Qual è il criterio generale al quale si ispira il direttore del personale nel momento in cui si appresta a effettuare una nuova assunzione? 

Direi l’integrazione del nuovo arrivato nell’organizzazione. Bisogna capire come è fatta quella tal persona in rapporto alla cultura del team in cui verrebbe immesso. Significa compatibilità. Il ché può manifestarsi in due modi solo apparentemente contraddittori. Adattamento ai meccanismi già in atto, oppure attitudine a smuovere le acque. In altre parole, serve certamente colui che si mette subito ai remi e si sintonizza con il ritmo della vogata, ma a volte l’organizzazione ha bisogno di chi in maniera costruttiva rompe equilibri consolidati e stimola il cambiamento. Io penso che la diversità è ricchezza, sempre che ci sia apertura mentale. Questo vale anche per le differenze di genere, di cultura, di nazionalità.

 

Abbiamo parlato di video-presentazione. Con la crescente diffusione dello smart-working arriveremo un giorno alla video-assunzione?

Presso alcune multi-nazionali è già in uso, ma parlerei più precisamente di video-colloquio. In generale può essere un passo importante nel processo di selezione, non quello definitivo. Faccio un esempio concreto. Recentemente a Compassion Italia, la Onlus per il sostegno all’infanzia più povera di cui sono Executive Board Member, abbiamo assunto un capo-marketing per l’Italia. Il capo-marketing americano (la sede centrale di Compassion è negli Usa) ha però voluto conoscerlo e ciò è avvenuto per l’appunto attraverso un video-colloquio. Era un passaggio più formale che sostanziale, la supervisione di una scelta che noi avevamo già effettuato, per darle una ulteriore convalida.



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