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Quando si può andare in pensione? Ecco la simulazione per la Generazione X

LUNEDÌ 25 LUGLIO 2022 | Lascia un commento
Foto Quando si può andare in pensione? Ecco la simulazione per la Generazione X
Scritto da Stefania Pili
Quali sono le previsioni riguardo alla pensione? Il recente rapporto Inps mostra come i lavoratori di oggi sono in difficoltà a causa di disuguaglianze territoriali e di genere.


Quando si può andare in pensione? Ecco la simulazione per Generazione X. Il livello di occupazione in Italia, fortunatamente, è in rialzo, con livelli pre-pandemia. La differenza, tuttavia, è che rispetto al 2019, risulta in calo il numero delle ore lavorate.

 

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Simulazione di pensione per la Generazione X

Il rapporto Inps evidenzia come in Italia ci siano notevoli difficoltà riguardo al lavoro della cosiddetta Generazione X, ovvero chi è nato tra il 1965 e il 1980, i primi a essere stati coinvolti dalle riforme che, a partire dagli anni '90, hanno reso il mercato del lavoro più flessibile, ma meno garantito. Questo significa che il contributivo complessivo accumulato nel corso degli anni, si riduce sempre di più a cause di carriere lavorative meno stabili.

Chi è nato nel 1980, ad esempio, per poter ricevere una pensione come quella dei nati del 1965, dovrebbe lavorare circa tre anni in più; tra un uomo nato in questo anno e una donna più giovane di 15 anni, la differenza sale a 5 anni e 8 mesi, a causa sia della diversa retribuzione oraria, ma anche del meno lavoro con contratti part time. Questo si traduce ovviamente con un'anzianità contributiva più bassa.

Grazie però al “salario minimo”, al compimento dei 65 anni, con con un'attività lavorativa di 30 (e quindi con 15 scoperti) e un salario minimo di 9 euro l'ora, si raggiungerebbe una pensione mensile di 750 euro, comunque più alta del trattamento pensionistico minimo di oggi.

Come accennato in precedenza, però, ci sono delle problematiche da prendere in considerazione, a partire dal calo demografico: continuando con le attuali regole pensionistiche, infatti, nel 2029 si avrebbe un patrimonio netto negativo per 92 miliardi, causa proprio dei disavanzi che si accumuleranno pian piano, che vanno a pesare sulle casse italiane, nonostante le riforme previdenziali attuate negli scorsi anni. E poi c'è da considerare l'inflazione, la variazione dei prezzi, il recupero del potere d'acquisito; per questo si pensa a un maggior esborso per lo Stato pari a circa 24 miliardi.

 

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Possibili soluzioni

Dal 2023 si potrebbe attuare la riforma flessibile della quota 102, caratterizzata da costi diversi sia per i lavoratori che per lo Stato. Tra queste, un anticipo a partire dai 63 anni della sola quota contributiva della pensione, con un costo stimato di circa 2,5 miliardi al 2030. Tra le altre simulazioni pubblicate nel rapporto Inps, ci sono anche quelle relativi agli incentivi all'occupazione, grazie soprattutto alla decontribuzione. Il risultato è che la riduzione dell'importo dei contributi per i lavoratori funziona meglio se mirato a giovani, donne e apprendisti, e non applicato solo su uno specifico territorio.

Un'altra soluzione potrebbe essere il riscatto gratuito degli anni di studio universitari ai contribuenti, anticipando l’età pensionabile e compensando l’ingresso differito nel mercato del lavoro a causa dei periodi di studio. Ma il problema fondamentale di questa possibilità è trovare le risorse necessarie, circa 4 miliardi di euro. A oggi, è disponibile un'agevolazione per i contribuenti che vogliono riscattare gli anni di laurea, il cosiddetto “riscatto light”, un investimento, che potrebbe aiutare il lavoratore ad anticipare il pensionamento e aumentare la rendita tenendo contro dei contributi versati. Il riscatto light ha un costo di 5.360 euro per anno universitario ed è totalmente deducibile a fini fiscali, con un importo complessivo di 26.800 euro su 5 ani universitari, che può essere rateizzato fino a 120 rate mensili senza interessi. Per farlo, si sceglie di liquidare la pensione totalmente a regime contributivo e non retributivo o misto. Tuttavia, c'è da precisare che, per alcuni lavoratori laureati, il riscatto non conviene ai fini del ritiro anticipato dal lavoro.

In base a una simulazione, la fascia di lavoratori svantaggiati dal riscatto della laurea quinquennale sarebbero i 55enni con 25 anni di contributi, il che significherebbe andare in pensione con un ritardo di 3 anni e 3 mesi per gli uomini e 2 anni e 10 mesi per le donne; anche gli uomini 50enni che hanno iniziato a lavorare a 27 anni riscattando la laurea perderebbero 9 mesi, mentre per tutti gli altri, ci sarebbe comunque un guadagno. Chi oggi ha tra i 30 e i 45 anni e lavora da quando ne ha 24, può riscattare la laurea e anticipare la pensione di 2 anni e 5 mesi, se uomo e 3 anni e 6 mesi se donna. I nati tra il 1967 e il 1962 che pagano i contributi dai 24 anni e scelgono il riscatto, andrebbe in pensione con più di 5 anni di anticipo.

 

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