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Vite da Millennials: storie di precarietà e disuguaglianza nell'era Covid-19

VENERDÌ 21 AGOSTO 2020 | Lascia un commento
Foto Vite da Millennials: storie di precarietà e disuguaglianza nell'era Covid-19
Scritto da Stefania Pili

Ogni epoca è segnata da eventi tragici che trasformano inevitabilmente il corso della storia. Tra i problemi principali che ne derivano, rientrano sicuramente le crisi economiche e sanitarie. I nati tra gli anni '80 e '90 sono la prima generazione ad essere statisticamente più povera della precedente e l'unica ad aver affrontato ben due emergenze economiche: la recessione del 2008 e questa del 2020. In questo ultimo caso, ci sono due fronti da prendere in considerazione: il Coronavirus che ha colpito gli over 65 da un punto di vista sanitario, e la crisi economica e del lavoro, che continua a mietere vittime tra i Millennials. Una generazione giovane sì, ma non abbastanza per avere a disposizione infinite possibilità. Sono loro, purtroppo, a pagare più degli altri lo scotto della precarietà, della disoccupazione e dell'esclusione sociale.

Insieme ai Millennials, anche la Generazione Z (generazione che segue ai Millennials, nata tra la seconda metà del 1995 fino all’anno 2010) inizia a entrare nell'occhio del ciclone fatto di incertezze e trasformazione. Mettendo insieme le due generazioni si potrebbe quasi parlare di “Generazione Covid”, qualora l'emergenza si dovesse prolungare e il ritorno alla “normalità” si dovesse allontanare.

 

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I dati in Italia

Le analisi condotte sono ben lontane dall'essere incoraggianti. I trentenni italiani, oggi, si trovano in una condizione sociale peggiore della generazione precedente. Non c'è da meravigliarsi visto che il rapporto di Bankitalia già nel dicembre 2018 parlava proprio di un rallentamento della mobilità sociale, fortemente condizionata dal quartiere di provenienza, dalle scuole frequentate, dai legami familiari e di amicizia. Recentemente, questi dati sono stati confermati dal rapporto annuale dell'Istat del luglio 2020: la mobilità sociale, infatti, continua a rimanere bloccata, specialmente per i nati tra il 1972 e il 1986. Per la prima volta, sono in percentuale più i figli che rischiano una regressione rispetto allo status dei genitori (26,6%) di quanti avranno invece la possibilità di ascendere verso condizioni più favorevoli (24,9%). Un numero, quello dei mobili verso il basso, già superiore rispetto a tutte le generazioni precedenti.

I Millennials, quindi, si ritrovano di fronte a una nuova crisi e, come prevedibile, a farne le spese saranno le classi più svantaggiate e i giovani più precari. Non c'è da stupirsi dato che si tratta dei giovani con meno risparmi accumulati, che guadagnano meno e che non possiedono contratti.

Anche a seguito della crisi del 2008, con il rapporto pubblicato da Cnel lo scorso dicembre, si è rilevato una diminuzione di 400mila occupati tra i 15 e i 24 anni dal 2008 al 2019; 1,4 milioni di giovani adulti (dai 24 ai 34 anni), dopo la recessione, non sono nemmeno riusciti a entrare nel mercato del lavoro.

L'Italia, sfortunatamente, è tra i Paesi peggiori in quanto a opportunità lavorative. Inoltre, si riscontrano difficoltà anche dal lato imprenditoriale under 35: secondo Unioncamere, quasi 1 attività su 3 tra quelle nate nel 2018, era guidata da un Millennial, un dato a prima vista positivo ma che in realtà rivela che solo 1 su 10 aveva a capo un under 35 (considerando il totale delle imprese). Un leggero miglioramento si evidenzia nella creazione imprese digitali, visto che il 20% circa, nel 2016, era amministrata da giovani. In ogni caso, dal 2011 al 2018 il numero di aziende under 35 italiane è diminuito di circa il 19%; per di più, 1 impresa giovanile su 3 deve chiudere entro i primi 5 anni di vita e quasi il 50% non riesce a vivere oltre i due anni.

 

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Le conseguenze psicologiche sui giovani

Per molti il lockdown ha significato isolamento sociale e interazione tramite social media e piattaforme digitali. Da una parte si è trattato di un adattamento più semplice alle restrizioni imposte, specialmente per i nativi digitali, dall'altra, può esserci stata una perdita umana relazionale.

Ora ci si ritrova in una dimensione sconosciuta, incerta e ancora più indefinita. Dal sogno dei contratti a tempo indeterminato alle Partite Iva traballanti. E anche chi è stato capace, ma anche fortunato, nello stabilizzare il proprio percorso professionale, ora si ritrova in una spirale di incertezza nel continuare la propria carriera in completa autonomia. Il Covid-19 non ha fatto altro che peggiorare la situazione sui giovani lavoratori: in Italia, prima della fase 2, solo il 49,7% dei lavoratori under 24 e il 61% dei lavoratori tra i 25-34 anni, è rimasto occupato nei settori attivi. Terminato il lockdown, secondo le analisi dell'Istat, rispetto al mese precedente, il tasso di disoccupazione tra i giovani compresi tra i 15 e i 24 anni ha riportato la crescita più sostenuta, assestandosi al 23,5%.

Lo sconforto è assolutamente comprensibile: secondo il sondaggio condotto dall'Istituto Toniolo durante la quarantena, si è riscontrato grande pessimismo da parte dei giovani italiani riguardo le prospettive di ripresa post Covid-19; ad aprile in molti avevano affermato di percepire un peggioramento della condizione lavorativa ed economica rispetto al passato.

Questa situazione non riguarda solo l'insoddisfazione lavorativa generale ma la mancata stabilità e autonomia: una generazione che si consola tristemente con stage non retribuiti, prestiti d'onore, contratti a termine e aiuti consistenti da parte della propria famiglia. Abituarsi a questo tipo di vita fa crollare le speranze riposte in anni e anni di studio e gavetta, cedendo a una sorta di adattamento alla precarietà e all'ansia di non farcela.

Le istituzioni devono comprendere questo: le nuove generazioni devono poter partecipare attivamente alla ricostruzione dell'economia del Paese. Solo in questo modo si potrà ripartire attivamente con un nuovo processo incentrato sulla spinta collettiva fatta di studio, esperienza e voglia di farcela. Una scommessa che bisogna fare per vincere e andare avanti, nonostante tutto.

 

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